Qualcuno può essersi sorpreso che nel suo ultimo appuntamento pubblico da presidente dell’Acri, alla Giornata del Risparmio, Giuseppe Guzzetti abbia parlato poco di fondazioni e banche, privilegiando altre parole-guida: “etica”, “risparmio” e — soprattutto — “democrazia”. Ma solo in apparenza si è trattato di una divagazione. Nei fatti Guzzetti ha voluto riandare alle radici della civiltà socio-economica che, quasi trent’anni fa, ha generato l’esperienza tutta italiana, e di successo, delle fondazioni. E ha voluto chiarire quale contributo esse possano ancora dare alla tutela — prima ancora che allo sviluppo — della democrazia italiana.
Nate dalla tradizione secolare della Casse di risparmio, le fondazioni bancarie hanno ricevuto in eredità molti miliardi di euro (pur dopo la crisi restano ancora più di 40) accumulati da generazioni di famiglie, imprese e banchieri non costretti entro la monocultura del profitto speculativo. “La tutela del risparmio deve essere sempre il primum movens dell’intermediazione finanziaria”, ha ribadito Guzzetti, avvertendo un’ultima volta: “La domanda a cui si deve rispondere è se l’ampliarsi dei volumi della finanza abbia una positiva relazione con la dinamica dell’economia reale. Quelli che abbiamo visto crescere in maniera più intensa in questi anni sono soprattutto quei comparti della finanza cui interessa poco confrontarsi con la domanda di famiglie e imprese, e che invece preferisce orientarsi alla conquista del guadagno più immediato”.
Quasi al suo addio come leader dell’Acri e della Fondazione Cariplo, Guzzetti non ha rinunciato a rammentare con forza che la riforma bancaria del 1990 non era nata per consegnare il sistema creditizio alla finanza di mercato, ma per gettare moderne basi di una finanza realmente “sostenibile”, cioè sussidiaria a imprese e famiglie.
Ancora: le fondazioni non sono state concepite come semplici azioniste delle grandi banche costruite attraverso fusioni e acquisizioni; né come meri investitori istituzionali di patrimoni. “L’agire umano comporta sempre una scelta etica”, ha sottolineato con forza il presidente dell’Acri davanti al ministro dell’Economia Giovanni Tria e al governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. “Questo vale anche per l’attività finanziaria ed economica. Se si vuole un futuro migliore e sostenibile è quindi importante che questo tema venga posto al centro di una coraggiosa riflessione. Il buon funzionamento di un’economia si basa su presupposti etici condivisi”. E se “la finanza che a noi non piace è quella che si muove senza sottilizzare troppo sulla qualità etica dei suoi comportamenti” Guzzetti si è detto “non d’accordo” con l’approccio “riduttivo” di chi pone l’etica “sul limite del corpus normativo e giuridico che guida l’attività bancaria e finanziaria”.
L’etica — cioè l’attitudine della persona a partecipare attivamente responsabilmente alla vita sociale — “ha una valenza più profonda e più ampia”. Analogamente le fondazioni — disciplinate dalla Corte costituzionale nel 2003 dopo una lunga battaglia civile condotta da Guzzetti — sono i soggetti-capisaldo della “Repubblica della sussidiarietà” disegnata dalla riforma dell’articolo 118, nel 2001. Sono oggi antidoti irrinunciabili ai “veleni” che Guzzetti ha denunciato come minaccia interna a un’Italia che da settant’anni conquista ogni giorno la sua democrazia. “Nella stagione che stiamo vivendo un veleno sta insinuandosi nella nostra vita quotidiana e colpisce i gangli più delicati della nostra democrazia. È l’odio che spacca il Paese, come emerge da episodi che quotidianamente ci allarmano. L’odio non viene dal nulla. I bisogni reali non possono essere ignorati. Non vanno strumentalizzati, ma affrontati e risolti. Anziché percorrere la strada spesso difficile e impervia del confronto democratico, si preferiscono scorciatoie pericolose. L’avversario non deve essere un nemico; la diversa opinione non va demonizzata. La dialettica è utile e necessaria per una positiva prospettiva di cambiamento e i problemi del Paese non vanno imputati ad ipotetici poteri forti. La pluralità dell’informazione va tutelata come ricchezza di una società democratica”.
Parole — le ultime solo per ora — di un autentico “potere disarmato”, su cui la democrazia del Paese ha sempre potuto contare e da cui non ha mai dovuto guardarsi.