È davvero bellissimo e tutto da leggere il testo dell’udienza di ieri di papa Francesco. A meno sei giorni dal Natale, il papa è andato sul tema ricorrendo anche ad una serie di “invenzioni” verbali, capaci di restituire tutta la novità di questa festa, dal contenuto non preventivabile né immaginabile. E questo non quella volta, ma ogni volta.



Dovessimo tracciare un possibile profilo di Dio, il Papa ci suggerisce che con ragionevole sicurezza possiamo immaginarlo come uno a cui piacciono le strategie a sorpresa. Il Natale da questo punto di vista rappresenta il suo capolavoro, tante sono le sorprese che mette in fila, da quella di Maria che genera un figlio restando vergine, a quella di Giuseppe che diventa padre senza aver generato il figlio (e che nel Vangelo non dice mai una parola, annota Francesco). Prima ancora c’è la sorpresa di affidare tutta la storia a due che erano sposi promessi che però coabitavano, cosa che la Legge non permetteva. Dio a tratti sembra tirare troppo la corda, tant’è che Giuseppe pensa di ripudiare Maria per la legittima preoccupazione di salvare il suo buon nome. E Dio per non far naufragare tutto deve intervenire attraverso un angelo che appare in sogno a Giuseppe.



Ma la sorpresa delle sorprese è quella di manifestarsi, lui l’Altissimo e l’Onnipotente, nella forma di un bambino. Il Papa precisa che Dio è un “infante”, parola la cui etimologia significa “incapace di parlare”. Vuol dire che siamo davanti al paradosso di un Dio che è verbo che si fa carne ma si palesa in un corpo “incapace di parlare”. Insomma se “smontiamo” il Natale ci troviamo davanti ad una serie di circostanze del tutto spiazzanti. Per questo, dice Francesco, il Natale è la festa dell’inedito di Dio, o meglio è la festa di un Dio inedito.

A tutte queste sorprese se ne aggiunge un’altra, forse la più incredibile di tutte: il fatto che la sorpresa non è un qualcosa che è accaduto, ma che continua ad accadere. Ciascuno ne ha prova in mille circostanze della vita. Personalmente posso registrare un “accaduto” recentissimo. Lunedì scorso, in occasione della serata che chiudeva la terza edizione del Premio Testori, ho assistito alla lettura da parte di Toni Servillo di Conversazione con la morte, il testo che Giovanni Testori scrisse in occasione della morte della madre e che prelude al suo riavvicinamento alla Chiesa. Accostare un testo che mette al centro l’esperienza della fine di una vita all’esperienza del Natale, può sembrare fuori luogo. In realtà la sorpresa di quel testo, riascoltato dopo tanti anni, è proprio quella di restituire, parola dopo parola, con grande commozione l’esperienza di una “nascita” accaduta tenendo tra le braccia il corpo della propria madre. Una nascita reale e non intenzionale o sublimata.



Tanto è vero che ad un certo punto nel testo, letto in modo semplice e magistrale da Servillo, scivola dentro la parola “Dio”. Scivola dentro, palesemente inattesa e non prevista dallo stesso autore, che se la trova tra le mani e sulla pagina non come un’idea, ma come un qualcosa di reale e di presente, lì in quell’istante. “Ho detto Dio, anzi l’ho gridato”, scrive Testori come sorpreso da quel che era accaduto e da quel suo istintivo riconoscimento. Per questo non smetteremmo mai di ascoltare quel passaggio attraverso la voce di Servillo, così capace di restituire la sorpresa. Quella parola in quella precisa circostanza, in fondo, non è che il riaccadere non previsto di un Natale, nella forma di una sorpresa, che grazie alla forza della poesia arriva a noi e ci fa ancora sobbalzare.