La manovra del popolo fa venire in mente Tafazzi e il governo del cambiamento fa venire in mente il governo Crispi. Tafazzi è il mitico personaggio emblema del masochismo, interpretato da Giacomo Poretti, uso a martellarsi, saltellando, l’inguine con una bottiglia di plastica. Francesco Crispi fu il massone capo del Governo italiano che nel 1890 mise la cavezza, nazionalizzandoli, a 22mila enti pubblici di assistenza e beneficienza. Dico, fa solo venire in mente: non è la stessa cosa. Perché la storia, come diceva Carletto Marx, riaccade sì, ma solo una volta e solo riversandosi da tragedia in farsa.
Capo primo: Tafazzi. Quando i giornali avevano meno fantasia e più coraggio, il titolo riservato alle manovre finanziarie era “stangata”. Benzina, sigarette… Adesso si dice manovra del popolo. I popoli beneficiari in realtà sono due, uno per il giallo e uno per il verde: il popolo di chi non lavora e non pensa di farlo e il popolo di chi lavora ma pensa di smettere prima che si può. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, sì o no?
Naturalmente per ottenere tali conquiste, Tafazzi ci dà che ci dà di bottiglia sull’inguine. Raschia sei miliardi dai nove previsti per gli investimenti; sega i sussidi per la stampa, tanto per la propaganda governativa sufficit il becerume social, epperò slunga soldi aggiuntivi alla Rai in vista di nomine di fedeli, I suppose; pesta su dei mille euri di sovragabella sulle nuove auto simulando ecotassa; scrocca soldi a chi sbarca a Venezia (comma 653 quaterdecies, pensa che labirinto inestricabile è una manovra…) ma non tocca i concessionari scrocconi seriali di spiagge e sottrae 1 miliardo e mezzo ai centri per gli immigrati; succhia quelle pensioni che per non offenderne troppi non chiama più d’oro ma addirittura di platino. Se poi si guardano le clausole di garanzia per il 2020 e 2021, alla voce Iva, per dire, viene la pelle di cappone.
Ma questo qui è il lato Tafazzi. Quando verrà uno statista capace di dire: ragazzi, è finita l’America, tocca tirare la cinghia per non rubare il futuro ai nostri figli e nipoti. Ricordando che l’Italia quando ha fatto il miracolo della crescita ha investito su istruzione e infrastrutture, autostrada del sole e lascia o raddoppia.
Capo secondo, il lato Crispi. La manovra prevede di raddoppiare l’Ires agli enti non profit, da 12 al 24%. Una mazzata. l’Ires è l’imposta sul reddito delle società; per quelle “non commerciali”, cioè quelle senza fine di lucro, era finora scontata del 50%. La previsione è di togliere questo sconto. Ora, gli enti senza scopo di lucro sono un terzo del welfare italiano se non di più. Gli altri due terzi essendo l’assistenza pubblica, pagata con le tasse e sempre meno sostenibile (ovunque, anche in Scandinavia), e i nonni, che si autofinanziano con la pensione che si sono guadagnati col sudore di una vita e valgono 1000 euro al mese cadauno di baby sitter e asili nido risparmiati per figli e nuore entrambi al lavoro. Se toccate i nonni e il non profit, i poveri in Italia raddoppiano di colpo.
Idem dicasi per gli enti non profit. I quali sono: istituti di assistenza sociale, società di mutuo soccorso, enti ospedalieri, di assistenza e beneficenza, istituti di istruzione e di studio, e inoltre i corpi scientifici, le accademie, le fondazioni e associazioni storiche, letterarie, scientifiche, gli enti ecclesiastici, gli Istituti autonomi per le case popolari. Si prevede una botta insostenibile. Per gli enti, e per la gente, compresi i poveri o i poco-abbienti. Metti l’anziano nella casa di riposo a 2000 euro al mese: un po’ con la sua pensioncina, un po’ i soldi che ci mettono i figli, ce la fai. Se aumenta la retta? Si presenti allo sportello reddito di cittadinanza, sempre che riesca a dichiarare meno di 780 euri. Che senso ha dover mendicare dallo Stato? Semplice, basta guardare come funziona dalla prima alla terza repubblica senza soluzione di continuità, in tante amministrazioni locali: se hai l’edilizia (e non sei onesto) saltano fuori i soldi, ma se hai l’assistenza sociale saltano fuori i voti.
La cosa è grave, e fa il paio, su un altro versante, con il blocco delle assunzioni per un anno in università. Assistenzialismo di Stato e poco o niente investimento sulle risorse strategiche: infrastrutture, formazione, ricerca, innovazione.
I vescovi italiani non sono mica come quel parroco “intransigente” di Lombardore che se la prese, nel 1890, con Crispi bollandolo in predica come “uomo violento, autoritario, fantoccio della massoneria che… opera il ladrocinio delle opere pie”. Eppure non hanno potuto, e giustamente, esimersi dal protestare perché, come ha detto il segretario della Cei monsignor Stefano Russo, “verrebbero penalizzate fortemente tutte le attività di volontariato, di assistenza sociale, di presenza nell’ambito della ricerca, dell’istruzione e anche del mondo socio-sanitario. Si tratta di realtà che spesso fanno fronte a carenze dello Stato, assicurando servizi e prossimità alla popolazione”. Realtà, aggiungasi, coessenziali alla più genuina tradizione del popolo italiano.