Lo storico anglo-americano Robert Conquest ribadiva che l’Europa avrebbe potuto avere una grande funzione se avesse sviluppato maggiore sussidiarietà. Se ciò vale per l’Europa, vale a maggior ragione per l’Italia. A questo riguardo, il nostro paese ha uno strano destino. Può essere paragonato a un territorio dalla natura rigogliosa che, un po’ a seguito di una “deforestazione incauta”, un po’ a seguito dei cambiamenti climatici, si sta desertificando. Come se non bastasse, gli agricoltori si sono stancati di fare la loro parte (anche di dover lottare contro regole sbagliate), lasciano nell’incuria le aree comuni, e si aspettano fatalisticamente aiuti dall’esterno.
Fuor di metafora, il nostro paese, si è formato ed è cresciuto per una grande ricchezza di iniziative sociali ed economiche nate “dal basso”, ancora prima dell’unità d’Italia.
La prima ondata di “disboscamento” si ebbe con la nascita della nazione, nell’equivoco che la costruzione di uno Stato significasse accentramento delle funzioni e non valorizzazione di quanto le realtà locali sapevano dare come risposta ai loro bisogni. Anziché rafforzare questa capacità, si pensò che fosse più importante controllare i bisogni delle persone e cercare soluzioni dal centro del paese.
Cosa che accadde ancora quando proprio un partito di ispirazione cristiana arrivò al potere. Si trascurò la sussidiarietà confidando di avere già in mano le leve dello Stato. E dall’altra parte, la sinistra si limitava a teorizzare uno statalismo centralistico come principio fondamentale.
L’importante per la classe dirigente di quegli anni era controllare i desideri dei cittadini per continuare a esercitare il potere delle diverse correnti politiche.
Con la Seconda Repubblica e la personalizzazione dei partiti, quello che oggi viene chiamata “disintermediazione” (cioè la ricerca di un rapporto diretto tra governanti e governati che tagli fuori il ruolo dei corpi intermedi), si impone nuovamente, “disboscando” ulteriormente la ricchezza del paese.
Anche i “cambiamenti climatici” hanno poi fatto la loro parte. Questi sono: la globalizzazione senza regole, la grande crisi con la finanziarizzazione dell’economia e la mancanza di riferimenti ideali. Tutto questo ha indebolito il terreno di coltura.
In questa “desertificazione” emerge tutta la crisi “morale” preparata da anni, in cui l’indebolimento delle energie sociali si vede soprattutto nell’incapacità dei corpi intermedi di sostenere ed educare il desiderio per il bene comune.
Quindi, ancora di più oggi, nel 2018 abbiamo bisogno di ridare impulso a un sistema sussidiario. Non solo perché questa è la principale forza del nostro paese, ma ora, anche a causa di forze maggiori. Alcuni esempi.
Welfare. I bisogni crescono, fortunatamente perché si vive più a lungo, ma i denari pubblici scarseggiano, al punto che i Comuni hanno da tempo cominciato a tagliare sui servizi. Senza una sinergia pubblico-privato-privato non profit che dia spazio a tutte le risorse presenti sui territori e superi l’idea liberista vigente oggi, difficilmente si potrà dare a tutti le risposte adeguate ai bisogni di sanità e assistenza della società del futuro.
Scuola. Con la stessa logica, bisognerà dar seguito al principio costituzionale per cui è scuola pubblica sia quella gestita dallo Stato che quella riconosciuta, ma non gestita dallo Stato. Abbiamo 150.000 abbandoni all’anno (due stadi di San Siro pieni!) e zone intere del paese in uno stato di sottosviluppo culturale. Con più autonomia e parità tra scuole possiamo avere la chance di recuperare allo studio anche i ragazzi più svantaggiati.
Piccola impresa. Dopo decenni di lezioni liberiste sulla competizione senza regole, che avrebbe dovuto rinforzare i sistemi imprenditoriali, si scopre oggi che per inoltrarsi sui mercati internazionali servono reti di imprese innovative, unite dalle caratteristiche e dagli scopi comuni.
Assetto dello Stato. Occorre un federalismo differenziato per permettere che le regioni virtuose siano aiutate a crescere e quindi ad aiutare a cambiare le altre. La funzione dello Stato non deve essere indebolita, bensì rafforzata. Questa è infatti la caratteristica di un “Sussistato”, che non solo ha l’onere di gestire alcuni servizi pubblici, ma deve anche sostenere e favorire lo sviluppo “dal basso”, come più volte ricordato anche su queste pagine.
La sussidiarietà oggi deve avere però innanzitutto uno scopo educativo, prima ancora che sociale ed economico. In altre parole, la priorità è fermare la discesa progressiva verso un “nichilismo gaio”. Per questo, occorrono luoghi dove possano crescere soggetti che vogliano fare impresa, generare opere, fare politica con scopi ideali. Occorre una sussidiarietà intesa in senso “giussaniano” come strumento di educazione del desiderio di bene per sé e per tutti.
Qual è il punto che le analisi economiche non coglieranno mai? Quello che genera la voglia e la capacità di andare avanti, di rischiare. Essa dipende da una certezza che ci si porta dentro, dal senso del proprio valore, della propria dignità. Questo è ciò che permette anche di imparare continuamente che cosa è il bene comune, incontrando persone e situazioni in cui è desiderato e praticato. Un percorso in cui ciò che si incontra non sono solo fattori utili a confermare certezze precostituite, ma punti che illuminano la nostra ricerca del vero.