La neve che cade copiosa sul nostro paese e lentamente avvolge, da nord a sud, le nostre città e le nostre vite chiude un quinquennio lunghissimo di confusioni, di litigi, di accesi scontri, di tristezze e di risentimenti. Nell’acclamata serie televisiva americana “Il trono di spade” l’arrivo della neve è sinonimo dell’arrivo dell’inverno, una stagione in cui i mostri più oscuri che abitano il continente varcano la barriera che la società ha innalzato per proteggersi e dilagano praticamente ovunque. Nelle piazze e nelle famiglie, sul lavoro e tra gli amici di sempre, si fanno strada dunque i mostri dell’egoismo, della corruzione, del fanatismo e dell’ideologia. Ogni cosa sembra destinata a corrompersi e a morire sotto questa neve che irrigidisce e raffredda ogni entusiasmo, ogni generosità, ogni ideale.
Winter is here, l’inverno è qui. La vittima di questa lunga stagione di lotte fratricide e di incapacità di vivere insieme sotto lo stesso tetto è infine la speranza. Ciascuno è diventato poco per volta nemico all’altro e nemico a se stesso: nella stessa famiglia, nello stesso quartiere, nella stessa azienda, nella stessa università, nella stessa comunità.
È così aumentata la rabbia, la disperazione, la solitudine e la necessità di rivendicare una qualche giustizia o una qualche ragione. Eppure tutto era cominciato da un desiderio di bene nella politica o in amore, per il futuro o per la storia. Quel desiderio aveva condotto a condannare alcune cose, mentre altre erano diventate vere e proprie certezze. Poi è iniziata l’avidità: di denaro, di piacere, di verità, a volte banalmente di cibo e di possesso. E questa avidità ha risvegliato le nostre paure più profonde, i nostri mostri. Abbiamo avuto paura che qualcuno potesse portarci via quell’esperienza di bene che ci era stata donata come un promettente inizio nella nostra storia e nella nostra realtà e abbiamo cominciato a non capire più nulla, a dimenarci per protesta contro le cose che cambiavano e contro il tempo che passava.
Il paese che vediamo oggi, paralizzato da quest’ondata di freddo, è l’esito di una lunga notte iniziata il giorno in cui abbiamo smesso di capire che il bene e il bello che avevamo ci erano stati donati e non erano, al contrario, l’esito di una qualche nostra abilità. Nessuno può dunque immaginarsi un risveglio di questa arida terra e di questa amara anima. In questo smarrimento apparentemente privo di uscite c’è però un particolare che sembra sfuggire: in questa strana stagione ogni giorno i minuti di luce aumentano ed aumenta con essi il tempo del calore, il tempo in cui la neve è destinata a sciogliersi. Quella manciata di minuti insignificanti che può cambiar tutto è a volte rappresentata dalla telefonata di un amico, dal fermarsi colpiti da una bellezza o feriti da una qualche celata consapevolezza improvvisamente evidente, come pure dalle parole inaspettate di un collega o dalla luce strana che, non attesa, si riflette un giorno nel volto della donna amata da sempre.
La verità è che sotto questa tormenta di neve qualcosa sta ricominciando. Qualcosa di piccolo, di impercettibile, forse neppure degno di nota, ma consegnato interamente alla nostra libertà. Nella politica o a casa, in università o dentro al dolore, qualcosa si muove, qualcosa ricomincia. Qualcosa che improvvisamente rinverdisce e che, per dilatarsi, chiede solo l’audacia del nostro sì. A ben pensarci, in questi ultimi giorni di campagna elettorale, questa neve che cade è la profezia più paradossale del fatto che l’estate tornerà, che un Altro è all’opera, che tutto sta già ricominciando. Come la colomba mandata fuori dall’arca da Noè al termine del Diluvio, così anche a noi ciò che occorre è la semplicità di volare, di aderire all’invito che la realtà ci fa, mettendo alla prova e verificando se è vero che qualcosa riparte, che quello che c’è non è tutto qui, non è solo quel che si vede.
Come nelle antiche profezie un fanciullo nasceva per noi, così oggi un’altra vita si fa strada. E solo gli uomini semplici e le persone ferite sono capaci di scorgere, sotto la coltre di quest’inverno, il primo rinverdirsi furtivo di un germoglio che, tra non molto, tutti noi potremmo chiamare primavera, semplicemente chiamare Pasqua di Resurrezione. E tutto avverrà sotto questo cielo, alla fine di questo inverno, al di là di ogni barriera. Per Grazia, per libertà.