Il realismo del XVI secolo

In Spagna la messa in onda de "La peste, una serie ambientata nel XVI secolo a Siviglia, ha riaperto il dibattito sull'America spagnola. FERNANDO DE HARO

“La peste” è il titolo di una serie in onda su un canale a pagamento di cui si parla molto nelle ultime settimane in Spagna dato che ha riaperto il dibattito sull’America spagnola. Un dibattito mai realmente chiuso dalla metà del XVIII secolo, quando i creoli divennero nazionalisti. La serie è ambientata nella Siviglia del XVI secolo. La sceneggiatura non è esente dai cliché di una leggenda nera, con luoghi comuni ripetuti migliaia volte. Tuttavia stavolta c’è chi denuncia questa leggenda e ricorda che la Spagna del XVI secolo era per molti aspetti quasi esemplare e molto attenta ai diritti degli indios.

L’occasione è un buon pretesto per ricordare alcuni degli argomenti usati dal cardinale Cayetano, appena 20 anni dopo che Colombo arrivò a Hispaniola (Repubblica Dominicana e Haiti). Il re Ferdinando il Cattolico aveva chiesto a Cayetano, superiore dei domenicani, di mandare lì dei frati per predicare. Questi frati, con esemplare indipendenza, hanno iniziato a denunciare gli abusi. I re cattolici, Isabella e Ferdinando, avevano già bandito la schiavitù e stabilito che gli indios fossero “trattati bene e giustamente”.

Inizia quindi uno dei dibattiti giuridici e filosofici più appassionanti della modernità da poco iniziata. Cayetano, per difendere la sovranità degli indios, distingue il diritto delle genti, derivato dalla natura, e il diritto divino, diritto di coloro che sono fedeli. E in una pagina memorabile egli afferma che non spetta alla Chiesa punire l’infedeltà dei pagani che non hanno mai abbracciato la fede. Il fatto che gli indios non siano cristiani non li priva della sovranità e del dominio in quanto, spiega il cardinale, il dominio proviene dal diritto delle genti che è diritto umano.

Questi frati spagnoli del XVI secolo che hanno difeso il diritto degli indios, il diritto degli “infedeli”, non avevano davanti a sé proprio delle pratiche che i teorici del diritto naturale considerarono più avanti, in un chiaro esercizio di esagerazione, conquiste a cui la sola ragione può arrivare con le proprie forze. Gli indios erano politeisti e animisti, alcuni di essi compivano sacrifici umani, praticavano l’antropofagia e la poligamia. Non erano esattamente vicini a uno stato naturale come quello descritto da Rousseau secoli dopo. Né erano vicini a quelle usanze che in seguito furono considerate conquiste logiche dell’evoluzione morale.

A volte, ascoltando alcune analisi scandalizzate per la scomparsa di alcune evidenze nella società del XXI secolo (differenza fra i sessi, stabilità nei rapporti, intangibilità della maternità, dignità degli immigrati), si sente la mancanza del sano realismo del XVI secolo. Cayetano e molti altri sapevano bene che ci sono alcune cose che solo il diritto divino (il cristianesimo) rende possibile. È inutile e controproducente pretendere che siano parte del diritto delle genti. Quei frati sapevano che quelle poche cose essenziali possono essere recuperate solamente attraverso la libertà.

Cayetano diceva che Cristo Re dei Re, a cui è stata data potestà in cielo e sulla terra, ha inviato a prendere possesso del mondo non soldati armati, ma predicatori santi, come pecore in mezzo ai lupi. Per questo peccheremmo gravemente, avvertiva, se pretendessimo di estendere la fede di Gesù Cristo lungo questo percorso (quindi con la forza, in “un’eccessiva estrapolazione del diritto divino”). Piuttosto, continuava, dovremmo mandare predicatori che siano uomini giusti che con la parola e l’esempio convertano a Dio.

Il realismo del XVI secolo spagnolo, questo saper distinguere il diritto divino e quello che allora si chiamava diritto delle genti, sembra altamente raccomandato in questo inizio di XXI secolo.

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