Più passano i mesi e gli anni, quanto più aumentano i migranti accolti in Europa – anzitutto in Italia – più appare riduttivo ogni approccio di analisi o di policymaking limitato alla gestione degli effetti dei grandi flussi migratori: sicurezza e integrazione nello spazio Ue. Osservati in modo più scientifico e pensati in chiave originale, i flussi di “capitale umano” dalle coste africane (“dal sud del sud europeo”) interrogano sempre di più studiosi, politici, imprenditori, diplomatici della cooperazione, Ong e corpi sociali intermedi sul terreno dello sviluppo economico e sociale, diverso da un semplice crisis management. Anche in questo caso, la risposta di primo livello – il “buon utilizzo” dei migranti nei sistemi economici del paesi europei – appare ormai circoscritta, non risolutiva e soddisfacente.

Un approccio strategico – premessa di ogni risposta autentica – agli sbarchi di migranti, in maggioranza giovani, impone anzitutto di seguire passo passo dall’inizio il loro cammino lontano dalla povertà: che è anzitutto fuga dal sottosviluppo, ricerca di condizioni e speranze minime di uscita verso l’alto, di realizzazione dii talenti personali Quelli che ormai anche un giovane del Mali o del Niger è consapevole di possedere. Se poi – è purtroppo ancora cronaca – in quelle aree dell’Africa imperversa il terrorismo di Boko Haram, tribale e di vena fondamentalista, è ancora più comprensibile la scelta di un giovane africano: fuga dalla povertà, ma ormai anche rifiuto di un modo di vivere, di un contesto sociopolitico.

I riscontri su quanto sta accadendo alle spalle delle coste libiche o del deserto sahariano sono comunque articolati, non univoci. Il fenomeno del land grabbing, ad esempio, è tuttora controverso e vive di una pluralità di questioni.

La crisi dei prezzi agricoli mondiali, contemporanea al collasso dei mercati finanziari, ha creato una doppia emergenza in molti paesi del Quarto Mondo: a comincia da quell’Africa sub-sahariana che costituisce il vero hub di partenza dei viaggi della speranza verso l’Europa. Emergenza alimentare da un lato, ed emergenza economica dall’altro. L’interesse crescente di investimenti esteri (soprattutto da Cina, Usa e fondi sovrani mediorientali) ha sconvolto un regime della proprietà agricola che stava lentamente uscendo da arretratezza e sottosviluppo. L'”accaparramento delle terre” è stato in parte favorito da governi locali in una doppia prospettiva: l’afflusso di capitali stranieri, ritenuto benefico in sé, e l’avvio sperato di processi di modernizzazione dell’attività agro-industriale e della produzione di biocarburanti. Nei fatti porzioni di territorio assai vaste – o giacimenti di risorse naturali preziose come l’acqua – sono spesso passati di mano a partire da titoli proprietari consuetudinari o incerti e attraverso negoziazioni opache. E questo ha determinato fenomeni di vero e proprio esodo forzato delle popolazioni locali, escluse da una partecipazione non subalterna dell’utilizzo delle loro terre.

E’ quest’evidenza che ha portato molti studiosi a includere il land grabbing fra le cause strutturali dell’emigrazione verso nord. Ed è sempre questa premessa analitica che sta suggerendo l’opportunità di percorrere non solo ad orizzonte breve vie dell’education all’interno delle politiche di accoglienza. Molti giovani migranti – forse più di quanti gli europei possono immaginare – desiderano tornare da dove sono venuti: ovviamente non su un barcone e certamente per cominciare a sradicare loro il sottosviluppo cronico delle loro terre.