L’istantanea di Giacomo Bertagnolli e Fabrizio Casal lanciati nello slalom della vita è da aggiungere all’ideale galleria delle memorabili immagini in bianco e nero di Coppi e Bartali nel passaggio di borraccia, di don Camillo e Peppone nella sfida su due ruote, di Moro e Berlinguer che si stringono la mano. Sono istantanee che raccontano l’ethos migliore della quotidiana faticosa epopea di un popolo, decennio per decennio. Ad esse ci sentiamo affettivamente legati. Corrispondono a un qualcosa di buono che in fondo vorremmo per noi e per tutti.

Coppi e Bartali che condividono l’acqua mentre si sfidano a vicenda, sfidando insieme gli strappi impietosi del Galibier: sono l’Italia degli anni 50, sverniciata di brutto alle conferenze post-belliche, orgogliosa di conquistare tappe di ricostruzione con sudore di pedalate e guizzi di genio. Ginettaccio, 48 anni, Italia terrosa e cattolica, salvatore di ebrei e castigamatti in maglia gialla di sussiegosi francesi che adesso “ci rispettano, che le palle ancora gli girano” (Paolo Conte). Fausto Italia mitica e laica, prometeico “omino con le ruote contro tutto il mondo, un omino con le ruote contro l’Izoard” (Gino Paoli). E la borraccia condivisa.

Don Camillo e Peppone, anni 60, il pretone cattolico e il sindacone comunista, una lotta senza quartiere su due ruote come fosse per aggiudicarsi la vittoria politica in un mondo diviso in due, ma di volta in volta aspettandosi l’un l’altro per quell’umanità che non sa privarsi del gusto di avere un avversario per amico e un mondo, magari piccolo, cui entrambi si appartiene.

La stretta di mano Moro-Berlinguer. Anni 70. L’impegno convergente a salvaguardare l’integrità della nazione dalla voracità onnivora dei blocchi delle superpotenze contrapposte. La volontà di non delegittimare l’avversario e con esso masse popolari che valgono un terzo del paese. Una solidarietà che dovrà proseguire, dopo l’uccisione del presidente della Dc, anche come risposta al terrorismo.

E adesso? Adesso abbiamo un paese dilacerato da anni di bipolarismo di guerra uso a demonizzare l’avversario e disorientato sui deus ex machina via via da seguire, sperando sempre alla disperata che sia la vvorta bbona.

Fabrizio Casal e Giacomo Bertagnolli, è vero, non sono per definizione avversari. Ma non è da pensare che siano di default come un’unica persona: la diversità c’è e come, e la corrente positiva scatta da una polarità tra i due. Al cancelletto scattano insieme. Uno ci vede bene, l’altro pochissimo: ombre o poco più. Quello che ci vede bene va avanti, l’altro segue. Segue le indicazioni date per interfono dal compagno, pa pa pa, monosillabi, paletto, buca, dosso, pa pa pa, il ritmo, il tempo giusto al millesimo, e poi i cambi di luce, che per gli ipovedenti rappresentano la difficoltà più seria. Quello dietro deve fidarsi, se gli viene un mezzo dubbio esita e ciccia. Primo insegnamento: con il sospetto e la diffidenza come criterio, non si costruisce.

Ma non è che uno guida e l’altro segue e basta. Giacomo lancia i suoi input alla “guida”, vai, vai, corri, di più, di più… calma, dai dai… e la guida deve recepirli, a sua volta fidarsi, introiettarli in un nanosecondo e risettare di conseguenza tutti i segnali trasmessi al compagno. Secondo insegnamento: il compagno può diventare un avversario o una palla al piede se solo ci si lascia ferire reciprocamente e non si accetta quindi di armonizzare il proprio passo sul passo dell’altro. Puntando entrambi sul traguardo-bene comune.

Pensa che valore essere stati compagni di scuola, amici di famiglia. Aver avuto genitori che non si sono arresi alla disabilità e hanno fatti di tutto per il figlio. Aver avuto un nonno che ti trova il primo sponsor quando ti metti a gareggiare. Appartenere a una comunità locale, quella di Cavalese, dove tener piantate buone radici. E stare aperti al mondo. Fa vedere, proprio al confine tra le due Coree che è la frontiera più murata del mondo, come si può andare oltre il limite.

Dici che non c’entra niente con il momento attuale del Paese? Prova a pensarci bene.