Pochi giorni dopo il voto, l’Istat ha diffuso alcuni dati sull’export dell’Azienda-Italia nel 2017, ripartito per macro-aree e singole regioni.
Al balzo annuo delle esportazioni-Paese (+7,4%) hanno contribuito in modo decisivo le regioni-traino della manifattura: Lombardia (+7,5% con la conferma della leadership in termini assoluti), Piemonte (+7,7%), Emilia Romagna (+6,7%) e Veneto (+5,1%). Qui la nota dell’Istituto centrale di statistica sottolinea la spinta portata – soprattutto in Lombardia ed Emilia Romagna – dalla vendita all’estero di “macchine e apparecchi”. Lo stimolo interno del piano “Industria 4.0” – sotto forma di incentivi fiscali selettivi – ha quindi esteso i suoi effetti benefici al fronte competitivo esterno, con un impatto misurato in 80 punti-base sui 740 complessivi di accelerazione nazionale.
A un estremo apparentemente opposto l’Istat ha evidenziato il boom (29,4%) dell’export generato dall’Italia insulare – in particolare dalla Sicilia – nel comparto dei prodotti petroliferi raffinati. E’ un dato che può suscitare un interesse relativo o addirittura negativo da parte di alcuni osservatori: quelli attenti (non a torto) soltanto ai segmenti avanzati o pregiati della seconda industria europea o i sostenitori di un ambientalismo intransigente e antagonista. Il polo petrolchimico di Siracusa, tuttavia, continua a smentire che il Sud sia un deserto industriale. A poche centinaia di chilometri, intanto, il destino di un’altra piastra di industria pesante affacciata su un grande porto – a Taranto – continua a porre interrogativi seri, scomodi.
Una porzione di Italia posta al centro del Mediterraneo su storiche rotte energetiche è la stessa che ora si ritrova investita dalle direttrici portanti della Via della Seta, l’avanzata strategica della Cina verso occidente. Ma proprio il Sud della penisola è risultato, nelle griglie Istat, il fanalino di coda al termine di un 2017 complessivamente soddisfacente per l’export, motore di ripresa. La macraorea è progredita soltanto del 2,8%, con arretramenti significativi come quello registrato della Basilicata (-13,3%).
L’occupazione e il reddito che il Sud chiede a gran voce facendo appello alla “cittadinanza” possono essere ricercati anche in un rilancio orientato agli scambi internazionali? Industria 4.0 ha portato “meno tasse” alle imprese italiane che hanno mostrato voglia di investire in tecnologie produttive avanzate, con annessa occupazione: ne hanno beneficiato in concreto soprattutto quelle settentrionali, ma è stata l’opposto di una flat tax indistinta, para-ideologica e populista. Se c’è un Sud “4.0” che vuole riguadagnare la via dell’export è giusto che un nuovo governo – qualunque nuovo governo – vi risponda con politiche industriali adeguate. Non-populiste: né al Nord né al Sud.