Il recente caso Facebook mette in evidenza diversi aspetti critici dei social media e non solo quello più frequentemente citato del mancato rispetto della privacy.
Se per privacy si intende il diritto alla riservatezza della vita privata di una persona, allora non è questo il problema sollevato da Facebook.
Può darsi invece che per privacy si intenda il diritto di ogni persona ad un controllo diretto sull’utilizzo, sia pure anonimo, di suoi dati personali. Questo può avere un valore, se si vuole costruire, assieme a quelli di altri “profili”, un mondo dove raccogliere “insiemi omogenei” (clusters) verso i quali indirizzare messaggi promozionali di tipo commerciale, politico o religioso.
La possibilità di offrire questa molteplicità di insiemi di profili omogenei ha certamente un grande valore per chi voglia inviare messaggi mirati ad audience diverse. Il caso Facebook rientra allora certamente nel mancato rispetto della privacy, ma con sfumature ben diverse tra loro. Vediamone alcune.
1. La prima riguarda la mancanza di trasparenza nei confronti dei suoi utenti. Nel caso Facebook, pare che nessuno di loro fosse stato informato che i dati spontaneamente posti sul sito per essere accessibili agli amici, in realtà sarebbero poi stati utilizzati per operazioni di interesse politico, pur essendo ben ovvio a tutti il loro potenziale enorme dal punto di vista commerciale. A nessuno certamente è sfuggito di essere divenuti bersaglio di pubblicità mirata, come conseguenza di semplici operazioni di email o di navigazione in rete.
L’uso risultava noioso, quello politico invece è stato intollerabile.
La trasparenza evidentemente non ce la possiamo aspettare certo da autoregolazione, cui sempre hanno fatto riferimento tutti i social media per evitare controlli di autorità pubbliche che ne limitassero la libertà di azione. Questo compare dal cambiamento di opinione, dei vertici di Facebook, solo apparentemente in favore di una regolamentazione… più apparente che reale. Mercoledì Zuckerberg diceva: “non sono sicuro che la regolazione serva”, subito dopo di lui Sheryl Sandberg, direttore operativo, ammetteva che “il problema non è regolazione sì o no, il problema è quale tipo” ( bisogna ricordare che ci sono molte situazioni diverse nel mondo: da regole di comportamento molto rigide nei rapporti con gli utenti in materia di trasparenza, alla limitazione di apps e cookies). Il vero problema è che qualunque atto che contribuisca a diminuire, negli utenti di Facebook, il senso di libertà nell’uso dei servizi tipici del social media, al limite di farne diminuire il numero, avrebbe un riflesso immediato sui ricavi pubblicitari di messaggi mirati verso gli utenti di quei clusters che le tecniche di “mining” tipo quelle usate da Cambridge Analytica hanno permesso di costruire. Il rischio di questo calo di ricavi è alla radice del crollo in borsa del titolo Basebook.
2. A questo punto è collegata la seconda sfumatura di violazione della privacy. Si tratta della la possibilità di uscire dal mondo Facebook qualora non si desideri più farne parte. Ha titolato il New York Times: “Vuoi cancellare il tuo nome da Facebook? Provaci”. Gli esperti che ci hanno provato dicono che possono essere necessarie settimane per riuscirci, e senza mai avere la certezza che quanto di personale è già in rete non sia più raggiungibile da nessuno.
3. Questa è la terza sfumatura. Non è chiaro se nel mondo Facebook sia correttamente rispettato il diritto all’oblio, ovvero il diritto di veder rimosse tutte le informazioni, i testi e le immagini caricate (in teoria solo per gli amici) sulle proprie pagine Facebook.
Le tre sfumature dei diritti lesi da Facebook non fanno altro che raccontare, ma sotto una luce diversa dal solito, la straordinaria potenza del mondo di Internet che ogni giorno mostra assieme ai suoi lati più luminosi anche quelli più bui. Ma su questa convivenza di luce e buio in internet dovremmo certo tornare perché regolare internet, in tutte le sue molteplici applicazioni, sarà forse necessario, ma diventa oramai sempre più difficile…