“Ecco l’uomo!”

Le vittime dell'incendio del centro commerciale russo, il ritorno della guerra fredda, ma anche gesti umani così profondi e ricchi d'amore da far dire: ecco l'uomo! GIOVANNA PARRAVICINI

Sono giorni tristi per la Russia, travolta dall’ondata di risentimento nazionale sollevato dall’ennesima escalation della tensione internazionale, scandita stavolta a colpi di diplomatici espulsi in seguito al caso Skripal, e da rabbia e costernazione davanti alla tragedia del rogo a Kemerovo, nel quale con il passare dei giorni emergono sempre più irresponsabilità ed errori umani. Come se la soluzione fosse trovare il colpevole, farla pagare a chi di dovere, sfogare sull’altro il proprio dolore impotente.

Ma nel frastuono dei media sono risuonati anche fatti di segno ben diverso, che possiamo riassumere nei nomi di Benoit Duclos, la guida alpina che rischia 5 anni per aver soccorso una famiglia di migranti, e di Arnaud Beltrame, il gendarme ucciso dopo essersi consegnato in ostaggio al terrorista in cambio di una donna. Leggendo queste due storie vien da dire: “ecco l’uomo”, cioè qualcuno che ha scelto – quasi istintivamente, senza pensarci su, senza lesinare sul prezzo da pagare – di vivere al livello della propria umanità; ma che così facendo ci interroga tutti su che cosa significhi essere uomo. Dostoevskij l’ha detto così: “Tutta la legge dell’umana esistenza sta solo in questo: che l’uomo possa inchinarsi allinfinitamente grande“. Quasi un secolo dopo, rialzando il capo dai cerchi dell’inferno concentrazionario sovietico, Solženicyn avrebbe constatato: “…l’uomo ha con che cosa paragonarsi. Ha dove voltarsi a guardare. Perché in lui c’è l’Immagine della Perfezione, che in rari istanti tutt’a un tratto emerge. Emerge allo sguardo dello spirito”.

È proprio quello che la politica e le leggi censurano, anche nel libero, tollerante e democratico Occidente, rifiutandosi di guardare oltre le proprie formule, chiudendo gli occhi per non vedere il volto umano nella sua concretezza e nel suo mistero, un volto sempre scomodo perché irriducibile all’ideologia. Certo, allinearsi a strategie globali decise in alto, arroccarsi su astratti principi di intransigenza e costruire muri è più semplice che interrogarsi sulle prospettive di una politica finalizzata a umiliare l’altro e cercare di entrare realmente in dialogo con i suoi bisogni; ma è anche molto più miope. In ogni caso, senza la decisione di creare ponti di solidarietà anziché levare scudi, nell’ultimo dopoguerra non si sarebbero poste le basi per quell’Europa unita che oggi sembra invece così intrinsecamente fragile e vacua.

“Ecco l’uomo”: senza il coraggio di cercare il volto nell’uomo anche nel nemico di ieri o nel potenziale nemico di domani, di sfidarlo a riscoprire in sé l’Immagine della Perfezione di cui pure è fatto, la nostra civiltà è sconfitta in partenza, rosa dal tarlo della paura e del sospetto su cui poggia ogni ideologia.

“Ecco l’uomo”. Chi l’avrebbe detto, tra la folla urlante sobillata dai capi del Sinedrio, tra i soldati della guardia romana e tra le autorità che avevano il potere di ucciderlo o di rilasciarlo, che in quell’uomo malmenato e umiliato era in realtà racchiusa la salvezza del mondo… Eppure la teoria di coloro che, a partire dai suoi discepoli, continuarono a camminare sulle Sue orme, a “fare questo in memoria di me” non è mai venuta meno. Oggi come allora, siamo chiamati a decidere se essere uomo sia questo o altro. Quello di Arnaud Beltrame, consegnatosi ai terroristi per salvare una sconosciuta, è stato un gesto estremo, certo, ma c’è da chiedersi anche quanti piccoli, quotidiani gesti eroici abbia compiuto in vita sua Arnaud Beltrame, se sua madre ha potuto dichiarare, all’indomani della sua morte: “Era la sua ragione di vita. Oggi mi direbbe “mamma ho fatto soltanto il mio lavoro”. Faceva parte del suo modo di essere”.

Ciò che accadde poco meno di duemila anni fa sul Calvario – e di cui in questi giorni fanno memoria nel mondo milioni di credenti – è la riprova che nulla è inutile di ciò che è stato consumato nella fede e nell’amore. Tutto è serbato nella memoria di Dio: e non solo per attribuire una ricompensa nell’altra vita ma anche per rivivificare oggi la terra e la sua storia. Ce lo ricordava Vaclav Havel fin dagli anni 80, in un contesto completamente diverso ma pure dominato dal “potere anonimo, impersonale e inumano, il potere delle ideologie, dei sistemi, degli apparati, della burocrazia, dei linguaggi artificiali e degli slogan politici”. L’uomo che ha avuto il coraggio di gridare al mondo quale fosse “il potere dei senza potere”, ha indicato a uomini apparentemente imbavagliati, impotenti ad agire, “un compito fondamentale da cui tutto il resto dovrebbe discendere”. Un compito che consisteva in questo: “Dobbiamo fidarci più della voce della nostra coscienza che di quella di tutte le speculazioni astratte, e non concepire altre responsabilità se non quelle a cui ci richiama tale voce. Non dobbiamo vergognarci di essere capaci di provare amore, amicizia, solidarietà, compassione, tolleranza, ma esattamente l’opposto: dobbiamo liberare queste dimensioni fondamentali della nostra umanità dal loro esilio “privato” e accettarle come l’unico genuino punto di partenza di una significativa comunità degli uomini”. “Ecco l’uomo”. Duemila anni fa come oggi.

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