Il Primo Maggio italiano ha dipanato cortei, editoriali e concerti fra due cifre, entrambe provocatorie: due gap. Sono 280mila i jobs che sono in offerta potenziale nell’Azienda-Paese sulle rotte della digitalizzazione: ma è reale il rischio – ha avvertito uno studio Confindustria pubblicato alla vigilia della Festa del Lavoro – che restino in parte posizioni non riempite, missing in action. Quasi nelle stesse ore l’Eurostat ha comunicato i dati 2017 riguardanti la situazione dei laureati Ue occupati entro tre anni dalla graduation: in Italia sono il 58%, in leggero miglioramento rispetto al 2016 e al picco negativo del 2014 (sotto il 50%); ma pur sempre strutturalmente al di sotto della media Eu-28 (82,7% con un top del 92% in Germania e un minimo del 54% in Grecia, l’unico Paese-membro della comunità con una situazione peggiore dell’Italia).
Il mismatching fra domanda e offerta di lavoro emerge dunque come fattore drammatico e paradossale. L’Italia di Industria 4.0 è un sistema-Paese che ha dimostrato di funzionare: di essere dotato di un settore manifatturiero capace di produrre e utilizzare tecnologie produttive evolute e di ricavare nel proprio bilancio pubblico incentivi reali per stimolare la digitalizzazione. Pur nelle more di una difficile transizione politica e di una congiuntura finanziaria sempre precaria, sta tenendo caldo il ferro spostando il tiro su “Formazione 4.0”: ma gli ingegneri o – più ancora – i periti industriali da formare e immettere nei percorsi professionali aperti dall’innovazione non ci sono.
L’indagine condotta Confindustria all’interno di un campione di associati ha preso in esame cinque settori cardine: meccanica, agroalimentare, chimica, moda e information & communication technology. Una domanda secca: quali e quante figure professionali potranno servire alle aziende nell’arco di cinque anni, assumendo una crescita economica simile a quella del 2017? Dall’elaborazione è uscita quella cifra quasi surreale in un Paese con il 35% di disoccupati fra 15 e 24 anni. Tenendo conto dei pensionamenti e guardando ai livelli annuali dei diplomati negli istituti tecnici c’è un parterre di 280mila tecnici che rischia di restare vuoto. E quanti di questi tecnici missing sono laureati “non tecnici” lost, ancora disoccupati dopo tre anni nelle statistiche Eurostat? Quanti sono laureati “sbagliati”? Quanti studenti sono stati mandati fuori strada dalla stessa scuola? Quante famiglie hanno sofferto delle stesse carenze di education dei loro giovani nello scegliere percorsi in cui vincono tutti?
L’ultima legislatura ha scritto fra i suoi risultati – a fianco di Industria 4.0 – Jobs Act (con un forte accento sulle politiche attive per il lavoro) e Buona Scuola, con una forte attenzione ad alternanza scuola-lavoro e orientamento. È chiaro che la nuova legislatura – quando potrà cominciare – non potrà non avere fra le sue priorità una spinta alla convergenza fra queste tre riforme: una politica industriale selettiva, focalizzata al merito competitivo; e una politica del lavoro coerente con la strategia della digitalizzazione e attiva anzitutto nel fare da bussola alla politica dell’education.