La nomina di Quim Torra alla presidenza della Generalitat della Catalogna, pochi giorni prima della scadenza del termine per la convocazione di nuove elezioni, implica l’inizio di un capitolo inedito nel processo di secessione. Il nuovo capitolo inedito, in un oceano di capitoli inediti, è indubbiamente segnato dalla volontà pari a zero di Torra di trovare un punto di intesa con il Governo di Madrid. Non c’è volontà di trovare una possibile formula, di aspettare di accrescere la base dei sostenitori dell’indipendenza, come voleva l’Erc. Torra applica la politica che l’ex Presidente Puigdemont detta da Berlino. Va allo scontro diretto e sceglie per il suo nuovo Governo quattro ex-consiglieri che sono in prigione o in esilio, processati per il reato di ribellione.
Ma il capitolo è inedito soprattutto perché implica la “verbalizzazione del rancore” da parte di chi ha la massima responsabilità istituzionale. Torra è noto per i suoi tweet e per i suoi scritti in cui manca di rispetto agli spagnoli non catalani. Sono loro i maleducati, quelli che sanno solo depredare, gli occupanti dal 1714. Torra verbalizza la colpa dandola espressamente all’altro. Disgusta i sostenitori della Costituzione del ’78 e molti separatisti che vengono coinvolti in questa sorta di squalifica.
È la dinamica che domina gran parte della vita politica del pianeta, e sebbene, con altri toni, tutti l’abbiamo praticata. È il segno dei tempi in questa epoca della rabbia. In Germania si alimenta l’odio verso l’immigrato che è accusato di tutti i mali; l’islamismo radicale, in nome di una tradizione che disconosce, si scaglia contro l’Occidente secolare dal quale copia la sua ultima stazione nichilista; l’islamofobia riunisce coloro che si sentono dimenticati nelle società di diseguali; i nazionalisti protezionisti del commercio e di una cultura che non ha nulla a che fare con quella locale si lanciano contro la globalizzazione… la lista dei fenomeni è molto lunga e tra loro hanno diverse cose in comune.
Quello di Torra ha precedenti molto classici nella storia dell’Europa. Con molta meno genialità intellettuale, con meno capacità di costruire il discorso, il nuovo Presidente della Generalitat si alimenta della stessa reazione che ha avuto parte della cultura romantica tedesca quando vide avanzare l’ideologia dell’Illuminismo francese. Era necessario, di fronte al progetto omologatore, che l’individuo tornasse a sentirsi bene nel suo mondo, a salvare la comunità tradizionale, riscoprire l’orgoglio di fronte all’altro, fuggire dalla tecnocrazia, recuperare lo spirito, consumare il “trasferimento di sacralità”, così che i nomi della fede restassero vuoti di contenuto e si esaltasse la nuova patria. Allora come oggi, la reazione somiglia molto all’azione. Né la tradizione è più tradizione, né lo spirito appartiene al popolo, né c’è memoria viva. Sono costruzioni che prendono in prestito il contenuto e la forma di ciò contro cui si ribellano.
Ma la cosa sorprendente è che dal punto di vista del costituzionalismo si risponda solo parlando del valore universale dello stato di diritto o brandendo il numero di aziende che hanno cambiato la loro sede. Il dibattito è impossibile. È proprio l’universalismo e il mercantilismo quel che alimentano parte del discorso della rabbia. Il costituzionalismo a volte sembra nutrirsi di quel che Niebuhr chiamava “fanatici anodini della civiltà occidentale che consideravano le conquiste contingenti della nostra cultura come la forma finale e normale dell’esistenza umana”. In questo caso sono i frutti di una patria costituzionale. Quando i “risultati contingenti” sono considerati elementi del paesaggio che crescono e danno frutti spontaneamente, senza bisogno di un duro lavoro di coltivazione, quasi tutto è perduto. Non si capisce che le certezze del XX secolo hanno cessato di essere tali nel XXI secolo. Questa mancanza di realismo, che ha molto a che fare con la pigrizia, non comprende che è impossibile che trionfi un mondo razionalmente organizzato e logicamente ordinato solo attraverso le decisioni giudiziarie e gli atti dei governi (che sono sempre necessari). E l’incomprensione – “come è possibile che le decisioni giudiziarie non siano rispettate?” – nutre all’altro estremo il circolo vizioso del risentimento. E si ricomincia daccapo.
Forse non c’è soluzione, se non tornare ad ascoltare ciò che abbiamo detto. Dircelo faccia a faccia, in modo che quelle parole aspre e violente ci facciano trasalire. Non siamo fatti né per ascoltarle, né per pronunciarle. Quella piccola fessura di malessere, di disagio che dura forse non più di un secondo, sembra essere una delle poche possibilità che ci permetterebbe di ricominciare.