Mentre la macchina istituzionale cerca faticosamente di rimettersi in carreggiata, c’è un’Italia che non solo va avanti, ma è in grado di farlo in modo originale e creativo, guardando bene in faccia i dossier decisivi per il suo futuro. Uno di questi riguarda l’Africa. Il rapporto con il continente nero infatti rappresenta, senza dubbio, la più grande opportunità di crescita per il nostro Paese. Le ragioni sono note: il forte sviluppo demografico che la sta interessando, un tessuto economico in molte parti ancora agli inizi, un modello imprenditoriale – quello italiano – che ben si attaglia all’esigenza di crescere e di migliorare non solo l’economia, ma anche il benessere sociale dei paesi africani.
È ormai assodato che il principale fattore di sviluppo è l’istruzione, in particolare la sua qualità. Se leghiamo un’istruzione di qualità a un’azione imprenditoriale ben radicata in un territorio, avremo un modello che renderà la capacità di sviluppo il patrimonio stabile di una popolazione. Molte delle migliori università del mondo hanno in corso gemellaggi con gli atenei africani. Una “semina” a lungo, lunghissimo tempo, come è normale che sia. Se non fosse che una geniale iniziativa italiana è riuscita a mettere il “turbo” a questo processo. Come? Implementando un modello di master universitario che viene via via adattato alle diverse esigenze dei territori africani grazie al coinvolgimento di università e realtà locali. In questo modo, non solo si ottengono economie di scala, ma anche un importante arricchimento e scambio di esperienze, decisivo nella formulazione della proposta didattica e per la costruzione di reti all’interno dei Paesi e tra Paesi.
La “semina” è cominciata da qualche anno e i risultati sono interessanti e promettenti: 664 imprenditori coinvolti, il 33% donne, 3.500 posti di lavoro creati nell’indotto. Solo per fare alcuni esempi, tra le persone formate c’è Joseph, un imprenditore ugandese a capo di Nucafe, una rete di coltivatori di caffè sparsi in un’ampia zona del Paese. La competenza che ha acquisito con il master permette alle 200.021 aziende agricole familiari e al 1.000.561 di contadini singoli affiliati di migliorare e ampliare la loro attività. Nuove modalità di coltivazione, efficacia nel processo di lavorazione, essicazione, conservazione del prodotto ha portato per tutti un incremento di reddito, oltre che 1.252 nuovi posti di lavoro.
Felix è uno dei fondatori di Totohealth, un’impresa keniota che sostiene le mamme povere dal momento della gravidanza ai primi anni di vita dei bambini, mandando loro sms personalizzati con suggerimenti e informazioni di diverso tipo. Finora 21.236 genitori in 6 “contee” del Kenya hanno scaricato l’app ed è stata attivata una rete di 1.506 volontari. Nana Ama è la fondatrice di C’Eliore Naturelle, che produce cosmetici naturali privi di sostanze chimiche ed eco-friendly. La produzione avviene in Ghana mentre la vendita è effettuata anche in Tanzania e in Inghilterra. In un anno ha aggiunto 7 nuovi prodotti alla sua linea e ha creato 47 posti di lavoro nell’indotto.
È interessante anche il criterio con cui vengono selezionati, istruiti e accompagnati gli imprenditori-studenti del master. Oltre a essere scelti tra coloro che hanno già un’impresa da sviluppare o un’idea promettente, il loro progetto deve avere un impatto sociale, cioè rispondere a esigenze primarie, come la salute e il lavoro, della popolazione che coinvolge. La logica dei formatori italiani – che danno anche consulenze ai formatori africani – non è sostituirsi, ma ragionare insieme, ad esempio, per capire meglio il segmento di mercato a cui rivolgersi, le condizioni per la sostenibilità economica, il modo per raccogliere fondi anche pubblici.
Promotore del master è E4Impact, una fondazione nata valorizzando l’esperienza di Altis, Alta scuola dell’Università Cattolica guidata dal professor Mario Molteni. La Fondazione, guidata da Letizia Moratti, è un interessante mix di mondo imprenditoriale, universitario e finanziario (ne fanno parte, oltre alla Cattolica, Securfin – finanziaria della famiglia Moratti, Mapei, Salini-Impregilo, Bracco, Eni, Lisa, Intesa SanPaolo e GeFi).
L’iniziativa offre anche un servizio per le imprese italiane che intendono entrare nel mercato africano: l’azienda paga una borsa di studio e E4impact identifica alcuni candidati. L’impresa italiana seleziona il più adatto che realizza l’analisi di mercato e il business plan secondo le indicazioni fornite dall’impresa stessa.
Un’ultima annotazione chiarisce il valore di questo progetto in un contesto più ampio. L’Africa sta vivendo un’epoca di neo-colonialismo. Le grandi potenze economiche mondiali sono da tempo tornate per impadronirsi delle materie prime. Lo fanno spesso distruggendo l’ambiente, senza favorire sviluppo sul territorio, senza vantaggio per le popolazioni locali. Per difendere la loro egemonia, inoltre, promuovono sanguinose guerre per interposto Stato. Gli aiuti internazionali vanno in gran parte a governanti che li usano per le loro “cricche” e per comprare le armi. Gli Stati si indebitano sempre più e aumenta la povertà. Grandi masse di persone vanno a popolare le bidonville delle megalopoli, cresce un’emigrazione forzata di profughi dei conflitti e di chi non ha più niente da mangiare, anche perché i poveri campi sono confiscati da multinazionali per una agricoltura intensiva, come avveniva in Europa nel 1700 con la recinzione delle campagne. Aumenta la rabbia, la disperazione, la disuguaglianza, l’ignoranza e con esse il fondamentalismo religioso e politico.
E4impact rappresenta una novità fondamentale: un modello di rapporto tra Paesi in grado di potenziarne lo sviluppo locale esaltando il protagonismo delle popolazioni. Viene in mente il suggerimento che diede don Luigi Giussani quando esortò a cominciare la Compagnia delle opere: dimostrare che è possibile uno sviluppo basato sull’educazione delle persone non isolate, fatto di istruzione e lavoro, e fondato sulla collaborazione sussidiaria tra profit e non profit, tra paesi ricchi e quelli in via di sviluppo. Un esempio che potrebbe valere anche per grandi iniziative, se si pensa a quanto fece Enrico Mattei che, a differenza delle “Sette sorelle”, fece crescere l’Eni in partnership (al 50%) con gli Stati africani nello sfruttamento delle risorse naturali. Lui pagò per questo con la vita, ma, come sta facendo oggi E4impact, segnò la strada ancora realistica e possibile al vero sviluppo.