Il Mediterraneo si è ristretto. I paesi dell’Europa meridionale si ritrovano più vicini dopo quello che è successo nei giorni scorsi. L’Italia ha visto fallire il tentativo di un Premier pronto a mettere in atto un programma governativo impossibile da compiere, messo insieme da due formazioni anti-europee, non conformi con il modo con cui la democrazia è stata concepita nel Vecchio Continente dopo la Seconda guerra mondiale. La Spagna, sebbene molti dei suoi leader e l’opinione pubblica non lo riconoscano, si sta dirigendo verso qualcosa di analogo.
La mozione di sfiducia presentata dai socialisti contro Rajoy nel mezzo della crisi catalana e l’incapacità di Rajoy stesso di riconoscere il danno della corruzione sono segni di una frattura con radici antropologiche che nessuno sembra voler vedere. I presupposti su cui si sono fondate le due democrazie sono diluiti.
I punti di partenza sono molto diversi, ma tendono a convergere. L’Italia è tra i fondatori dell’Unione europea. La Spagna è arrivata tardi, in un ampliamento alla metà degli anni ’80, insieme al Portogallo. I due paesi sono usciti dalle dittature. L’Italia si è lasciata alle spalle i partiti del dopoguerra dopo la crisi della metà degli anni ’90 e la nascita della Seconda Repubblica. Il risultato delle ultime elezioni ha polverizzato ciò che rimaneva ancora del vecchio sistema. La Spagna resta, apparentemente, con protagonisti della vita pubblica i partiti emersi dalla Transizione (a eccezione dell’Ucd). Ma forse si tratta solo di un’illusione.
Il grande Psoe che ha governato nell’immediato post-Transizione non esiste più. Con la mozione di sfiducia di venerdì scorso si è impegnato a dimostrarlo chiaramente. I socialisti, una volta un partito di Stato, hanno solo 86 deputati e con queste forze ridotte e il sostegno necessario dei partiti indipendentisti, che vogliono rompere la Spagna, intendono cacciare Rajoy. La mossa, di un’irresponsabilità palese, cerca di giustificarsi con la “indegnità” delle condanne per corruzione del partito al Governo. Alcuni dei “galattici” del tempo di Aznar sono entrati in prigione, per finanziamenti illeciti, e sono previste altre condanne…
E Rajoy, in questa circostanza, sembra anch’egli impegnato a far sparire il Pp. Nega la gravità dei fatti, non chiede perdono con forza e non promuove un ricambio. Pretende, come una certa destra italiana fa da anni, che in nome della stabilità e della paura della sinistra i suoi elettori dimentichino l’indimenticabile: il suo partito, trasformato in una macchina lontana dalla società, ha ospitato pratiche molto irregolari; alcuni dei suoi leader, anche di spicco, hanno concepito la vita pubblica come fonte di arricchimento. La corruzione, grave per via dei suoi effetti, è il sintomo di un male più grande: l’inconsistenza personale dei politici, la disconnessione dai bisogni della gente.
La situazione politica spagnola è grave perché non vi è un ricambio consistente. I nuovi partiti non hanno abbastanza maturità. Ma il dramma è che i socialisti e i liberali (non ci sono più i conservatori) continuano a dare per scontata una struttura culturale e antropologica che non esiste più. Per questo agiscono con tanta incoscienza. Per i giovani non è più evidente che la nostra democrazia, con i suoi difetti, è il miglior sistema. Della tradizione, nel sud, resta il legame della famiglia. E poco altro. Socialdemocratici e liberali sono convinti che, dopo la crisi degli ultimi anni, come dopo la Seconda guerra mondiale, sia sufficiente ripristinare il vecchio ordine, recuperare la crescita economica e alcuni livelli di benessere. Alcuni, pochi, aggiustamenti basterebbero a ripristinare la fiducia nelle istituzioni, in modo che la democrazia torni a essere ciò che era. Per questo non reagiscono davanti alla corruzione e non hanno le chiavi per affrontare la sfida del sovranismo e dell’indipendentismo. Per questo giocano irresponsabilmente a rovesciare il governo o per rimanerci a qualsiasi prezzo, senza rendersi conto che la democrazia, come l’abbiamo finora intesa, e tutti quei valori su cui si basava, non sono una premessa, una conquista ottenuta per sempre.
Dopo le ultime guerre in Medio Oriente abbiamo appreso che la democrazia occidentale non può essere attuata senza un substrato di cultura occidentale. Ciò che alcuni non vogliono vedere è che l’Occidente ha smesso di essere l’Occidente, il Sud dell’Europa ha smesso di essere quello che era. I sintomi sono clamorosi: l’ossessione di risolvere qualsiasi conflitto nei tribunali e con un diritto più punitivo, la difficoltà di accettare il perdono come categoria civica, la debolezza di andare incontro all’altro, la ricerca permanente di un capro espiatorio… In questo contesto non si può fare politica come è stata fatta finora, perché la sfiducia è grande. Non si può continuare a fare politica senza rendersi conto che il grande edificio cittadino degli ultimi decenni è andato in rovina. La ricostruzione sarà lenta e non richiede altro che una politica sinceramente, concretamente, focalizzata sul bene comune. Un bene che ha il volto concreto delle persone concrete.