Se ne sta appeso sopra un altare laterale di una semplice pieve di un paese a 30 km da Firenze. Se andate a vederlo, quando vi comparirà davanti agli occhi di primo acchito penserete di essere vittime di una visione, tanto questo quadro sembra fuori dimensioni e fuori luogo rispetto al contesto. Davvero un capolavoro inatteso. È la Visitazione dipinta da Pontormo e custodita nella Prepositura dei santi Michele e Francesco a Carmignano (Prato). Oggi, 31 maggio, la chiesa ricorda lo stupendo episodio della visita di Maria a sua cugina narrato da San Luca e tra le tantissime immagini che ci sono state tramandate quella di Pontormo è insieme la più imprevedibile e la più iconica. Venne realizzata non per la chiesa in cui ora si trova ma per la cappella privata di una famiglia fiorentina che possedeva una villa nella zona, la famiglia Pinadori. Erano anni intrisi di inquietudini, segnati da un evento traumatico come il Sacco di Roma del 1527 e dallo scossone della Riforma protestante. Da parte sua Pontormo era personaggio inquieto per natura, ricettacolo di tutte queste inquietudini, per di più solitario e ipocondriaco. Sono tutte premesse poco idonee a calarsi in un soggetto meraviglioso e pieno di positività umana come la Visitazione. Ma non bisogna mai fermarsi alle premesse…
Pontormo ambienta in effetti la scena in un paesaggio un po’ oppressivo, e sotto un cielo che tende ad incupirsi: un contesto decisamente poco partecipe al clima felice di quell’evento. Verrebbe quasi da pensare che uno come Pontormo si sentisse un po’ trascinato a dipingere la scena, avvertendo tutta quella festosità un po’ inappropriata ai tempi e del tutto estranea alla propria psicologia. Compose una scena a quattro figure, ricavando l’impianto da una celebre incisione di Dürer. Due di queste, difficili da interpretare dal punto di vista iconografico, stanno in secondo piano, e piantano i loro occhi nei nostri che guardiamo il quadro. Sino a questo punto potremmo dire che Pontormo sia rimasto sulle sue, in quanto si è mosso all’interno dei suoi affascinanti e ansiosi paradigmi. Tutto sembra abbastanza raggelato, distante e non lascia certo presagire quello che nel quadro invece sta per accadere.
Infatti, nel primo piano, che è il cuore della scena, accade che tutte le ritrosie dell’artista e quella sua inguaribile malinconia vengano scavalcate dalla dinamica del fatto rappresentato. A quel punto Pontormo si lascia andare e anche lui si abbandona, con i mezzi inarrivabili ed estrosi della sua pittura, a quel moto che porta una donna nelle braccia dell’altra. Le dipinge leggere, che sembrano quasi camminare su un cuscino d’aria. Le dipinge avvolte in vesti dai colori eccentrici, eccentrici proprio come lui; vesti che si gonfiano per l’impeto di quel venirsi incontro. Si gonfiano anche ad evidenziare con delicatezza ma con certezza, le vite che portano nel grembo.
Ma il dettaglio più straordinario di questo capolavoro, il suo vero epicentro, è nell’incrocio delle braccia e degli sguardi di Maria ed Elisabetta. Le braccia dell’una si appoggiano con estremo rispetto sulle spalle e sul fianco dell’altra: in questo modo tengono una distanza, come a voler lasciar spazio, al centro della scena, alle due vite che verranno. Se si passa poi ai loro sguardi, si capisce come questa sia una scelta voluta e consapevole. Sono sguardi indimenticabili, pieni di cognizione e di tenerezza. Due sguardi di grandi donne, che si stimano di una stima che va ben aldilà del rapporto parentale. Due donne che sanno a cosa sono state chiamate e che hanno piena coscienza del loro ruolo. Ci danno inoltre un’impressione di solidità psicologica e di sicurezza, a dispetto della psiche agitata che le ha dipinte. Nello stesso tempo sono leggere al punto che sembrano danzare nell’aria, forse perché portate da quei figli che portano nel grembo.
E con loro, anche il complicato Pontormo si è lasciato portare…