Parlo con Irene Villa mentre l’Eta, l’ultimo gruppo terrorista rimasto in Europa, annuncia il suo scioglimento senza scusarsi con le vittime, rivendicando il suo passato di sangue. Irene Villa ha perso, quando aveva dodici anni, entrambe le gambe. È successo in un attentato realizzato da coloro che, in questi giorni, giustificano la loro violenza con la repressione della Guerra civile. Una bugia archeologica.
“Dopo l’attentato è iniziata una vita molto più drammatica di quello che pensassi. La mia vita era quella di un’adolescente felice. Improvvisamente, ho iniziato a vivere senza gambe. Ho deciso di perdonare perché volevo rifarmi, rinascere”, mi racconta Villa. Ascolto Irene mentre le televisioni trasmettono a ripetizione l’atto compiuto dal gruppo terroristico ormai sciolto a Cambo-les-Bains, nei Paesi Baschi francesi. I sedicenti mediatori internazionali leggono la Dichiarazione di Arnaga. Ore prima, Josu Ternera, colui che è stato il capo dei terroristi, ha registrato un messaggio per rendere solenne il momento finale dell’organizzazione.
La Dichiarazione di Arnaga, come il messaggio di Ternera, manca dolorosamente di verità quando ci sono più di 850 persone uccise. Definisce l’Eta come un gruppo armato, continua a parlare di “conflitto”, chiede una soluzione per i prigionieri e per i latitanti e rimprovera il governo per non aver dialogato con i terroristi.
Distolgo lo sguardo dalla televisione e mi aggrappo, come un naufrago sul punto di soccombere, alla voce ferma di Villa. Voce ferma e calda che ha perso l’adolescenza, ma non la vita e che mi salva da quell’onda di sozzura che risveglia in me il male e il danno che hanno causato e causano i violenti. “L’atto di perdonare significa rompere il legame con la persona che ti ha ferito”, mi spiega Irene. “Quando non perdoni qualcuno, resti in qualche modo collegato al male che quella persona ti ha fatto. C’è un filo invisibile che ti lega al terrorista per sempre. L’ho visto in mia sorella che stava per rimanere senza una sorella e senza una madre e che non è in grado di perdonare. Ho visto più dolore in lei che in me perché io ho perdonato”.
Non c’è stato conflitto. C’era e c’è menzogna. L’Eta non si dissolve, è stata sconfitta da Irene, penso mentre la ascolto. Abbiamo vinto noi democratici, quelli che hanno pianto e piangono in solitudine i loro cari uccisi, quelli che per anni non riuscivano a dormire perché gli avevano portato via le persone più amate, le vedove e gli orfani che hanno seppellito i mariti e i genitori umiliati come se i colpevoli fossero loro, quelli che per anni sono stati silenziati dall’infamia, quelli che erano nelle liste nere, le vittime di estorsione, quelli che vivevano nella paura, gli eroi sconosciuti e quelli che non ce l’hanno fatta, i politici che hanno dato la vita per la libertà, gli agenti di polizia, i giudici, gli operatori di pace, quanti hanno confidato nello stato di diritto, coloro che hanno avuto il coraggio e la chiarezza, quando tutto era confuso, per attuare misure politiche come rendere illegale Batasuna (il braccio politico dei terroristi): tutti questi, tutti noi, abbiamo sconfitto i violenti.
L’Eta non è mai stata l’avanguardia di un popolo oppresso, non ha mai lavorato per la liberazione di nessuno. Questa è la nostra vittoria. La vittoria dei democratici, di coloro che hanno avuto il coraggio della pazienza, un coraggio che è stato mantenuto quando sembrava che ogni speranza fosse persa.
Quando finisco di darmi tutte queste spiegazioni, la voce di Irene continua a suonare dall’altro lato dell’auricolare. “Ciò che ti dà pace interiore è il perdono – mi racconta con una semplicità che mi disarma -. Conosco molte vittime che non sono in grado di perdonare e le rispetto. Ma se uno ama se stesso, non ha altra scelta che accettare ciò che gli è successo”. Non vedo il volto di quella che è una donna matura, madre di molti bambini, ma nella sua voce c’è la temperatura di un sorriso.
Dopo 50 anni di terrore, con oltre 850 omicidi, dopo che un intero Paese è stato vittima, è necessaria una narrazione adeguata ai fatti. Ma forse nemmeno una descrizione accurata di ciò che è accaduto sarebbe una fonte di liberazione. La liberazione del male causato e del male sofferto, senza cui è impossibile la ricostruzione, è nella voce serena di Irene. Senza la tua voce, senza le tue parole di oggi, le parole che cantano, Irene, non ci sarebbe nulla che possa liberarci dall’orrore del passato. Saremmo, tutti incatenati.
Grazie Irene, rinasciamo con te.