A crowd flowed over London Bridge, so many (Una gran folla fluiva sopra il London Bridge, così tanta). Non siamo però sul London Bridge, ma a Hyde Park. E non c’è esattamente una folla, ma molti millennials, studenti universitari con zaini sulle spalle, auricolari nelle orecchie, solitari. Tutti diretti verso una delle più importanti università di Londra. Una città irreale, questa volta sotto la luce di una mattina che non è ancora iniziata. Come nel grande poema di Eliot, “La terra desolata”, ognuno procedeva con gli occhi fissi ai piedi (And each man fixed his eyes before his feet).

Molti di loro provengono da residenze o appartamenti condivisi in cui non hanno parlato per giorni con nessuno, se non scambiando qualche parola di cortesia molto britannica che distanzia ancora di più. Alcuni di questi studenti si formano nelle migliori università del mondo, quelle di Londra competono apertamente con quelle al top degli Stati Uniti. Studiano con i migliori professori, i migliori ricercatori, possono contare sulla miglior tecnologia, lezioni registrate, seminari aperti, biblioteche e laboratori eccezionali… il massimo di ciò che è desiderabile.

Il loro sguardo fisso ai piedi nasconde un doloroso segreto. Nel regno della solitudine, a Londra, i millennials sono i più soli. L’Ufficio nazionale di statistica ha pubblicato alcune settimane fa il rapporto “Loneliness – Quali caratteristiche e circostanze sono associate al sentirsi soli?”. Secondo questa ricerca, i “giovani adulti” di età compresa tra i 16 ei 24 anni si sentono più soli rispetto agli anziani. L’indagine è complementare a un’altra realizzata dall’Università di Cambridge (“Giovani adulti solitari nella moderna Gran Bretagna: risultati di uno studio di coorte epidemiologico”) in cui si conclude che il 7% dei nati tra il 1994 e il 1995 si sente spesso solo. A una percentuale compresa tra il 23% e il 31% non risulta strano sentirsi isolato o senza compagnia.

Prima di andare a lezione, o in biblioteca, si può far colazione in uno dei tanti supermercati sulla strada verso il campus. Londra, che fino a pochi anni fa era la città in cui non si poteva mangiare decentemente senza spendere una fortuna, ora ha un supermercato in ogni angolo. Insalate e piatti pronti monoporzione, alimenti biologici per uno, la formula è economica, sana, e per poco più di tre sterline il pranzo o la cena sono assicurati. Non c’è bisogno di preoccuparsi di cucinare. È socialmente accettato mangiare a tutte le ore, persino in aula mentre il professore fa lezione. Non è necessario socializzare per nutrirsi. In realtà, sedersi al tavolo si sta trasformando in un’abitudine desueta.

La sessione mattutina è terminata, sono passate due o tre ore di lezione o studio. E a mezzogiorno, a pranzo Hurry Up Please It’s Time (Affrettatevi per favore, è l’ora). Coloro che usano le sale da pranzo del grande centro universitario si dispongono come monadi. Insieme agli altri, senza parlare, tra un boccone e un’occhiata al cellulare, ai messaggi dei social network, forse alla puntata di una serie tv. Pranzo veloce per tornare al compito, con molta eccitazione. I see crowd of people, walking round in a ring (Vedo turbe di gente che cammina in cerchio). Poi, un lungo, intenso pomeriggio, scienza finché non si è esausti. E nell’ora violetta, quando gli occhi e la schiena si levano dallo scrittoio, quando il motore umano attende come un tassì che pulsa nell’attesa (At the violet hour, when the eyes and back turn upward from the desk, when the human engine waits Like a taxi throbbing waiting). Al tramonto, all’ora dell’attesa, le soluzioni. Quali soluzioni? Un reportage del The Guardian di alcune settimane fa (“Come affrontare la solitudine all’università”) offriva le ricette per affrontare i problemi che la prolungata solitudine può causare alla salute mentale. Volontariato, yoga, ballo, sport… gli esperti raccomandano di non ossessionarsi con il lavoro, di riposare quando necessario, cercare attività con cui aumentare la cerchia delle conoscenze… tutte le formule salutari…. ma forse insufficienti per un’attesa palpitante. Il rigore sembra riservato solo allo studio, la competizione è molto severa.

Non c’è nessuno che si commuova per questa nuova terra desolata che abbiamo costruito per i nostri millennials? Non c’è nessuno che versi qualche lacrima di razionale e drammatica compassione? Il tempo è propizio. Eliot ritorna e chiede loro, gridando o sussurrando: “Who is the third who walks always beside you?” (“Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto?”). Eliot torna e dice ancora: “When I count, there are only you and I together but when I look ahead up the write road, there is always another one walking beside you” (“Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme, ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca c’è sempre un altro che ti cammina accanto”). Ma chi è quello che va per la tua strada? Che fa la vostra strada?