Mario Draghi è italiano ma non è e non è mai stato né il premier né il ministro dell’Economia italiano. E’ da sette anni il presidente della Bce: il responsabile ultimo della solidità della moneta unica in tasca a 337 milioni di persone – di cui 60 milioni di italiani – in 19 Paesi europei.
Da sette anni pilota la politica monetaria dell’eurozona senza avere alle spalle un governo o un ministro delle Finanze: come hanno invece tutti i suoi colleghi a capo della Fed, della Bank of England, della Bank of Japan e anche della People Bank of China. Nessuno gli ha mai detto: il “governo europeo” – che purtroppo non esiste a 61 anni dai Trattati di Roma – o i capi di governo della E19 hanno concordato questi obiettivi e questi strumenti. Oltre a rispettare ll suo obiettivo istituzionale – mantenere l’euro entro un raggio d’inflazione massimo del 2% – Draghi ha dovuto preoccuparsi di obiettivi non suoi: primo fra tutti, favorire una ripresa forte ed equilibrata in tutta l’Eurozona; ma anche costruire una vigilanza bancaria integrata, per evitare nuovi crack e rafforzare l’infrastruttura finanziaria dell’Europa.
Ha deciso lui che una politica monetaria espansiva – il Quantitative Easing – era la misura più raccomandabile, con più prospetive di successo per sostenere le economie più forti e quelle più deboli. I risultati si sono visti ovunque, nonostante scetticismo e opposizioni: la ripresa italiana (ora stabilmente ore l’1,5%) non ci sarebbe senza i tassi zero che hanno tranquillizzato i gestori del debito pubblico e quelli del credito privato alle imprese. Ma neppure la Germania avrebbe potuto festeggiare a ripetizione avanzi commerciali record senza l’euro di Draghi, correttamente valutato sui mercati “. Perfino la Grecia è rimasta agganciata al treno dell’eurozona. Il falco tedesco Wolfgang Schauble era giunto all’insulto verso Draghi nel vertice decisivo dell’estate 2015 slla crisi di Atene. Ma è Schauble – con il suo rigorismo divisivo – a non esserci più nell’estate 2018, mentre il cancelliere tedesco Angela Merkel annaspa nel caos politico-economico europeo dopo avere incassato una pesante sconfitta elettorale interna.
La settimana scorsa la Merkel ha chiamato Draghi per un confronto i cui contenuti non stati resi noti. E’ assai probabile che abbiamo parlato del consiglio Bce in programma domani. Il banchiere centrale tedesco Jens Weidmann – che da tempo vota “no” a ogni proposta di Draghi, invece sistematicamente accolta dalla maggioranza dei governatori dell’euro – vuole imporre al presidente la conclusione anticipata del Qe. Si tratterebbe di un atto essenzialmente politico, non economico-finanziario: la Germania – in difficoltà a mantenere la leadership in Europa – vuol procedere per diktat e fatti compiuti. Vuole anticipare nei fatti la successione a Draghi, prevista fra un anno. Vuole bypassare il percorso politico di una vera riforma istituzionale dell’eurozona, voluta da tempo sia dalla Francia che dall’Italia. Si vedrà.
Per Draghi non è mai stato un problema essere un italiano in Europa. Sono gli europei – e gli italiani per primi – che non dovrebbero mai dimenticare, nel loro interesse, come ha operato in Bce questo italiano d’Europa.