C’è da restare meravigliati dalla forza che ha la vita, forza che s’attorciglia nei capelli: “La terra lasciava fare, godeva, era stata troppi anni solo a prendere pioggia e sole. Voleva tornare a vivere” (E tu splendi, G. Catozzella). E quando, poi, le cose arrivano, non se ne vanno più. Basterà poco più di nulla – una porta aperta, un accenno di primavera, il profumo di bucato – per ritrovare serenità: la bellezza delle piccole cose. Quella che celebrava il Cristo dei Vangeli che, per il rapporto speciale che tesseva con Dio, non sbagliava: “Il Regno dei cieli (…) è come un granello di senape (…), che è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno” (Mc 4,26-34). Un’idiozia, un fastidioso paradosso, un’esagerazione che imbufaliva i topi da biblioteca di Gerusalemme: Lui, quando vuole spiegare l’immenso, parte sempre dall’effimero, dal quasi banale, da ciò che staziona sotto gli occhi di tutti senza che nessuno s’accorga della sua esistenza. Si è innamorato al punto tale della terra da farla diventare lo specchio delle sue catechesi sul Cielo. “Tu hai il mondo in mano, io sono piccolissima a confronto: un piccolo sassolino a bordo-strada. Eppure ti sei accorto di me” ha scritto una ragazza a quel girovago che le ha acceso d’improvviso il cuore. Lui a lei: “Proprio così, ti ho trovata a bordo strada. In quel sassolino, però, ho intravisto quel mondo intero che pensavo di tenere in mano”. E’ incredibile l’effetto che produce lo sguardo quand’è gettato sulle persone: le fa diventare diverse, le rende ancora più belle di quelle che già sono. Dilata il mistero che sono: “(E’ il più piccolo) ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra“. Dio-esagerato, sempre.
Funziona esattamente così anche il Regno di Dio, parola del Cristo-poeta: nelle sfumature s’adombra l’immenso, nel piccolo sta celato l’infinito, nell’uomo è andato a confinarsi Iddio: “Attenzione, fragile! Maneggiare con cura”. Pare nulla, tutt’al più poco – una semente, un peccatore, un dettaglio di poco conto – eppure è lo scacco-matto del Cielo: “Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce“. Gettato sulla terra, più nulla l’arresterà: il sole, la terra, il silenzio faranno il resto: “Col sole ero molto più coraggioso, non ci avevo mai fatto caso al coraggio che il sole ti dà” (G. Catozella). Il Vangelo è il canto della bellezza minima: le piccole cose non hanno grosse pretese, per un attimo solo risplendono, ma è come se fossero immense. E’ uno sguardo, un abbraccio, un tocco: l’infinitamente piccolo fa accadere l’immensamente grande. La bellezza vereconda del Vangelo è tutta qui, materia da bambino: la fisionomia del Regno di Dio è cosa apparentemente di poco conto, pure lei. “Tutto qui” va dicendoci s’aspettava un’arroganza pari a quella di Lucifero: “Sì, è tutto qui. Piccole cose. Ma sono loro, non le grandi, che fanno la vita. Il Regno di Dio”. Piccole-cose che, Cristo lo sa bene, non sono briciole. Alle briciole Iddio preferisce il nulla: le briciole – che sono avanzi, sorrisi a metà, mezze carezze – sono l’identità di Lucifero, le sue colossali sbornie, avanzi di pane e d’affetto venduti al prezzo di un’intera cesta. “Prestate attenzione alle cose piccole”, alle persone a bordo-strada, a tutto ciò che è fragile: “Nelle grandi cose, gli uomini si mostrano come conviene loro mostrarsi; nelle piccole, sono come sono” (N. De Chamfort).
Il Regno di Dio, a sentire il Cristo, è tutto qui. Distrarsi è perderlo, perdersi.
Capita così con Dio, come nelle storie d’amore terrene: una grande esistenza nasce dall’incontro con una grande occasione. “Sei bellissima! Ma se riuscirò a salvarti l’anima, diventerai un capolavoro” disse l’uomo a quell’anima raggiunta nel fondo alla scarpata. In tanti, ora, s’accorgono di lei: sorride. E’ l’allegrezza del Vangelo: la prima volta che uno vede un seme, non sempre intuisce ciò che quel seme contiene. Chi lo intuisce, però, inizierà a misurare il tempo in brividi.