In Spagna il Governo è cambiato un mese e mezzo fa e in questo periodo ci sono state grandi novità. Il governo del Psoe, che per la prima volta dalla Transizione è salito al potere senza passare dalle urne e senza essere il partito più votato, non fa che adottare misure ad alto tasso ideologico. Misure che hanno poco a che fare con i bisogni delle persone. Vuoi perché mira a nascondere la sua debolezza con gesti simbolici, vuoi perché deve accontentare i propri alleati di sinistra-sinistra o nazionalisti, tutto ciò che ha fatto finora è stato portare avanti un’agenda di polarizzazione e radicalismo di basso livello. Per questo ha frenato lo sviluppo delle cure palliative per promuovere l’eutanasia, ha voluto presentarsi come il governo anti-franchista in un Paese in cui non ci sono franchisti o come quello più femminista quando l’origine della violenza maschile continua a non essere ostacolata in modo adeguato.
È un governo che resuscita vecchi conflitti contro la dittatura, l’ora di religione o l’istruzione paritaria. Un socialismo da XX secolo quando il XXI richiede riforme nel sistema pensionistico e in quello fiscale, nel mercato del lavoro, o per il miglioramento della produttività e della competitività… e una lunga lista di cambiamenti di cui nemmeno parla. Il ciclo di espansione economica consente di continuare la politica di aumento della spesa avviata dal Pp e di dimenticare ciò che è importante.
Il governo socialista ha avviato, sì, un tentativo di dialogo con il movimento indipendentista che può essere utile come fonte di distensione, ma esso è destinato al fallimento. Il secessionismo catalano, nonostante le apparenze, è in impasse: sa che non può proseguire per la strada della rottura, almeno per ora, ma non riesce a trovare una via d’uscita onorevole. Su questo tema, quindi, è cambiato poco negli ultimi 45 giorni. Dove le cose sono cambiate e molto è nel Pp, in un centrodestra profondamente disorientato.
È logico che non abbia assimilato l’improvvisa perdita di potere (dopo sette anni e dopo aver vinto le ultime elezioni con una percentuale non trascurabile del 33%). Né il partito, né il Presidente Rajoy erano mentalmente preparati ad assimilare il danno che stanno subendo dai giudici per i casi di corruzione, né la possibilità di essere sconfitti da un patto così eterogeneo come avvenuto il 1° giugno con il voto di sfiducia. Non si erano resi conto di quanto profondo e intenso fosse il “Rajoy no”.
Nemmeno ora il Pp sembra aver capito la portata del processo delle primarie che si è autoimposto. È caduto in una falsa dicotomia. I due candidati al secondo turno, Soraya Sáenz de Santamaría (che è stata il braccio destro di Rajoy al Governo) e Pablo Casado (un uomo di partito, ma senza esperienza di governo) vogliono che sabato prossimo i delegati scelgano tra due alternative contrapposte: la tecnocrazia efficace, pragmatica e sperimentata, utile in una società che ha bisogno, soprattutto, di una buona gestione incarnata da Santamaría; la giovinezza di un Casado, con meno esperienza alle spalle, lontano dalla corruzione, con alcuni “principi, valori e idee” che intende recuperare.
Le primarie nel centrodestra spagnolo stanno avendo luogo senza alcun dibattito di idee, si parla solo di percentuali, di supporto conquistato ogni minuto. Casado ha cercato di introdurre questioni sostanziali come il modello di politica territoriale, di politica familiare o la solidarietà con le vittime del terrorismo. È il miglior candidato tra i due, per via della giovane età, la capacità di superare il periodo esaurito di Rajoy e di rinfrescare l’aria in un partito che sa di muffa. È tacciato di essere troppo conservatore, per via del fatto che è cattolico e delle sue idee liberali. Ma questo non è il vero punto debole di Casado. Il suo tallone d’Achille è una concezione ideale della politica basata su un riarmo etico realizzato dall’alto. Casado lo spiega come chi disegna un grafico: nella parte superiore della piramide ci sono le idee, i principi e i valori. E da questi discendono le azioni che devono essere intraprese in ciascuno dei diversi settori. È la risposta alla sua rivale che considera troppo pratica, troppo assorbita dalla gestione.
Non sembra che la migliore risposta alla tecnocrazia di certa destra e alla vecchia ideologia di una certa sinistra sia quella di rafforzare, da un piano più alto, alcuni valori che sono sempre meno riconosciuti in una società plurale. Il recupero della tensione ideale in politica, se vuole essere qualcosa di più di un catalogo di criteri astratti (indubbiamente convenienti), nasce dal basso verso l’alto. Il rinnovamento è il risultato di una conversazione, un contatto permanente con quei punti sociali creativi, capaci di rispondere a nuovi e vecchi bisogni, altrimenti non è rinnovamento. L’ideale della politica non può essere fatto di idee, principi e valori, ma di quelle realtà vive, quei luoghi in cui l’incontro con l’altro, di fatto, avviene già.