Fosse stato per loro, per i Dodici, di un’unica cosa erano certi: la loro testa era talmente pesante che, se si fossero fermati, sarebbe esplosa. Stanchi di troppo lavoro, per troppo lavoro, da non avere “neanche il tempo di mangiare. Lui –— più madre che datore di lavoro — s’incunea in quella loro stanchezza e l’arresta: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’“. 

Siccome il lavoro rimasto in sospeso è immane, l’urlo della folla è una gola aperta, il senso del dovere è alle stelle, Lui impone loro l’obbligo del riposo: “Essere sulla parte più alta dell’onda più alta che esiste nel mare è molto bello — scrive Nicolai Lilin nel suo capolavoro Educazione siberiana —, ma quanto tempo può durare un’onda del genere? E cosa cavolo succede quando quella bestia che stai cavalcando ti sbatte giù come un minuscolo parassita?”. Il loro Iddio ragionava così, si faceva spesso domande così. Un giorno, poi, iniziò a condividerle con gli amici che gli andavano appresso: era loro impossibile non rispondere a domande così. “Che si riposino!”, dunque: perché nell’attimo in cui si guarderanno dentro, non sentano l’anima cadere in fondo, nei talloni. 

Un Dio così è difficile da arginare: più del risultato, Gli balza all’occhio il senso di tutta la stanchezza impiegata. A Lui interessano loro, così come sono: stralunati, sfatti, in perpetuo stato di spossatezza. Siccome è uno che sa come fare per vincere, il piccolo gruppo di amici non osò manco tentare di controbattere a quella premura: “Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte.

Cercare di farlo sarebbe stato fare una gara di corsa contro un ghepardo.

Eppure la folla li adorava, andava matta per quella ciurma che, quando era in azione, lasciava traccia della mano che li aveva partoriti. Pur dotati di parole urticanti, quel loro annuncio — “Dio ti cerca, ti trova. Non te lo perdere, altrimenti sei perduto” — per quanto irto era pur sempre annuncio di speranza, una luce in mezzo al buio. Li spiano, tenendoli sott’occhio li pedinano, non li mollano: “Li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi, li precedettero“. 

Lui è con loro, in disparte, a pregare: che fare? Chiedere di spostare il riposo, di annullarlo, di resistere ad oltranza? Niente di tutto ciò: che i loro programmi sian rispettati. E’ Lui, il Dio del riposo, a cambiar programmi: “Ebbe compassione di loro (…) e si mise a insegnare loro molte cose“. E’ un Dio stretto tra due fuochi: la stanchezza degli amici da una parte, la malinconia della folla dall’altra. Come filo conduttore, il fatto d’essere uniti dalla solitudine in mezzo al caos. Che Iddio si comporti così è materia di madre: sono loro, le custodi della vita fino al ritorno di Dio, a metter gli altri prima di loro, ad usare verso i figli premure che per loro mai useranno. A farsi in disparte per far passare loro, farsi piccole perché loro si ingigantiscano, servirli perché si sentano amati. A spingerli verso le vette della felicità: “Come faccio a sapere che ore che sono, se sono una persona felice? Lo sapete che le persone felici non contano il tempo, perché nella loro vita ogni momento scorre con piacere?” (N. Lilin, Educazione siberiana). Cristo prova i crampi allo stomaco per gli amici, per la folla al seguito. Si mostra un Signore: “Prima gli altri, poi me. Se ci sarà tempo!” La vera arma di ogni gentiluomo è la sua eleganza: il loro rispetto verso di Lui, in questi giorni, cresceva a dismisura.

Che i primi si riposino il fisico custodendo il cuore: i secondi trovino riparo in un volto amico, loro che erano “come pecore senza pastore” (Mc 6,30-34). Per i primi, per i secondi, la sostanza non muta: privarsi della compagnia del Cristo viaggiatore è come cercare di imparare una lingua straniera senza che nessuno te la insegni. Raccomandò di riposare: Satana, idiota, confuse riposo e nullafacenza. L’uomo, d’allora ad ora, s’accorge sulla pelle che l’ozio appassisce. Un campo rimasto a riposo, invece, fornirà un’abbondante raccolto. Pregare, per Lui, è riposo-attivo.