Il sole tramonta a Gerusalemme e sale quella fresca brezza che accompagna sempre le notti d’estate della città di Gesù. Al fresco, nella parte araba, gli uomini bevono il tè davanti a grandi schermi installati per i mondiali di calcio. Questa Gerusalemme, come tutta la Terra Santa, è diventata una terra ostile per i cristiani. Il muro in Cisgiordania, la discriminazione a bassa intensità da parte di un Governo sempre più confessionale come quello di Netanyahu, la mancanza di opportunità economiche, la pressione degli ebrei ultra-ortodossi, ma anche la mutazione genetica che si è verificata nel sentimento nazionale dei palestinesi: tutti questi elementi minacciano di lasciare il paese di Gesù senza cristiani.
Quello che è accaduto negli ultimi anni nel triangolo formato da Betlemme, Beit Sahour (dove un angelo ha annunciato ai pastori la nascita di un bambino) e Beit Jala è molto significativo. Questo è il triangolo in cui vivono più cristiani in tutta la Cisgiordania. Dal 2007 il numero dei battezzati è diminuito considerevolmente. Ad esempio, a Beit Jala sono scesi dal 70% al 60%. Molte famiglie hanno perso i loro campi a causa degli espropri che sono stati fatti per costruire il muro. A Betlemme sono già solamente il 12%. Un recente studio dell’Università di Dar al-Kalima segnala che il 28% dei cristiani in questa zona vuole andarsene il prima possibile.
All’inizio del XX secolo, al momento del rovesciamento dell’Impero ottomano, i cristiani in Terra Santa rappresentavano circa l’11% della popolazione. Attualmente non raggiungono il 2%. La diminuzione più significativa è avvenuta tra il 1948 e il 1949, quando è stato creato lo Stato di Israele e c’è stata una discesa dall’8% al 2,3%. La costruzione del Muro dal 2002 ha accelerato l’emigrazione. Le condizioni di lavoro sono diventate complicate e l’accesso alle celebrazioni a Gerusalemme è sempre più difficile. Non ci sono uscite solamente dalla Cisgiordania: negli ultimi anni se n’è andato da Gaza il 40% dei pochi cristiani che vivevano nella Striscia.
La vita non è facile per i cristiani nei territori occupati o in Israele. La polemica fiscale delle autorità di Gerusalemme e del governo Netanyahu con le chiese negli ultimi mesi è stata emblematica. Il Governo ha avviato l’elaborazione di un controverso disegno di legge che consentirebbe allo Stato di espropriare i terreni ceduti o venduti a partire dal 2010 dalle chiese a soggetti privati. ?Il ??consiglio comunale ha da parte sua richiesto 150 milioni di euro per alcune tasse che i luoghi sacri non avevano mai pagato. È stato poi fatto un passo indietro, ma la minaccia rimane. La rete di scuole che i cristiani mantengono in tutto il Paese ha sempre meno aiuti. E poi ci sono le provocazioni degli ultra-ortodossi. Figure come il rabbino Benzi Gopstein si sono distinte per i loro attacchi alla presenza cristiana. Tre anni fa, alcuni esaltati ultra-ortodossi hanno attaccato la chiesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci a Tabga, in Galilea.
La situazione non è facile nemmeno con i musulmani. Ci sono stati anche attacchi dell’islamismo radicale a Gaza. L’invasione dell’Iraq ha cambiato in peggio la sensibilità dei palestinesi, una delle comunità musulmane che fino a 15 anni fa è rimasta ai margini della radicalizzazione. In Palestina è sempre meno determinante il progetto di costruzione nazionale, in cui cristiani e musulmani si ritrovano insieme. La nuova ideologia fa sì che i cristiani siano visti con più sospetto.