Non l’hanno mai accettato: “Pretende, da uomo, di dirci come fare a divenire uomini”, dicevano tra loro. Non sono riusciti a smontarlo, anche a causa di tutta quella folla appiccicata addosso. Di seguirlo – il vero miracolo che, in vita sua, Cristo ha sempre tentato di realizzare – pochi hanno avuto l’ardire, forse anche il coraggio. Il loro passatempo, pitocchi com’erano, era quello di mormorare. “Il problema è che la gente ha troppo buon tempo” diceva la mia nonna. Dice il Vangelo, prima di lei: “I Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto“. Eccoli smascherati: Lo ascoltavano per poi cercare di attaccarlo. Non riuscivano a fare a meno delle sue parole, dunque: poi non le accettavano, ma per il solo fatto di starle a sentire ammettevano che non fossero parole scontate, banali. Il Rabbì parlava chiaro, terra-terra, senza fronzoli, alla portata di tutti: “Io sono il pane disceso dal Cielo“. Parlava volutamente per immagini: non aveva la pretesa di spiegare, ma di accendere, provocare, spingere. Attendere. Più che spiegare, il Cielo ha cercato in tutti i modi di far vibrare la terra bagnandola di mistero.
Loro, la gente che lo andava a stanare per poi criticarlo, vedeva tutto, sentiva tutto, parlava di tutto. Solo che vedeva male, sentiva male e, dunque, parlava male. Vedeva quello che voleva vedere, sentiva quello che voleva sentire e, di conseguenza, parlava di quel poco che pensava di aver capito: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? (…) Come dunque può dire: ‘Sono disceso dal Cielo?’” Mai accetteranno di vedere un Dio alla portata dell’uomo: meglio il Dio isolato lassù in cielo, costretti a mille reverenze, obbligati ad altrettante formalità piuttosto che un Dio vicino all’uomo. Che, per amore, accorcia le distanze tra la terra e il Cielo.
Dunque, mormorano. E le loro mormorazioni sono come quelle di paese: viaggiano alla velocità della noia. Sono simili, quei Giudei, alla gente che ci vive accanto, che dice di ricercare il volto di Cristo assieme a noi: “Hai mai notato – scrive Alice Munro – che quando qualcuno dice che gli dispiace dire qualcosa, in realtà non vede l’ora di dirla?”. Vogliono rimpicciolire Cristo alla loro misura. Chi, tra loro, non vuole questo, ammette di voler quell’altra: ridurre Dio ad un problema intellettuale, ad un mero ragionamento, a un teorico geniale dell’amore misericordioso. Lui, invece, rovescia tutto, rimanda tutti alla casa dei loro pettegolezzi: “Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato“. Nutritevi, invece, del pane: “Mangiate me!”. Non vuole, Iddio, essere per la gente un problema intellettuale. Vuole che il suo volto rimanga una ricerca inquieta, spericolata: “Io sono il pane della vita“.
Quelli, poveri beduini, si appellavano al vecchio catechismo che, da qualche parte, avevano sentito blaterare: “Vuol essere più grande di Mosè, costui”. Non ricordavano – sarà sempre comodo non ricordare – che, senza il Dio del Cielo, i loro padri erano una banda di straccioni e di beduini, sbatacchiati da un faraone paranoico e ossessivo. Quarant’anni ha impiegato Dio a rivestirli di grazia, per farli diventare il popolo dell’alleanza più invidiata, invidiabile della storia. Meglio non ricordare, “spettegoliamo(lo)!”. Nel vangelo, come al paese, i pettegolezzi fanno diventare giganti le cose piccole, fan diventare piccole le persone grandi. Pochi, nel mentre mormorano, si ricordano che il mormorare nuoce gravemente alla salute: il pettegolezzo è un filo sottile che lega, tra loro, alcune persone. Prima o poi con quel filo si strozzeranno. Invece, “se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,41-51).
Passa in mezzo ai pettegolezzi, Cristo, e continua per la sua strada: “Chi mi ama mi segua, chi mi odia m’insegua”. Ciò che mai digeriranno è che Dio rifiuti le scenografie giganti per mostrare chi Lui è. Mai sopporteranno che Iddio parli sottovoce, in punta di piedi, a bassa voce. Loro vogliono vedere fuochi d’artificio.