Io e Israele, come fare pace

Si può costruire la pace in Terra santa? Il vero "piano di pace" non passa dalla politica, ma dalla nostra libertà. Dal riconoscimento di Colui che opera sempre. VINCENT NAGLE

Guardando i titoli veramente sconcertanti e tristi che provengono dalla Terra santa, il ciclo di violenza concentrato — ma non limitato — al confine fra la Striscia di Gaza e lo Stato di Israele, mi chiedo da che parte possa mai venire la pace. San Giovanni Paolo II ha detto che se cerchiamo la pace dobbiamo lavorare per la giustizia.  In questo conflitto, fra un popolo conquistato da un altro che a sua volta aveva molto sofferto, tutte e due le parti gridano l’ingiustizia che subiscono, che hanno subìto, o che temono di dover subire se non agiscono con forza apparentemente sproporzionata. Come lavorare allora? Con che metodo?

Certo, nonostante io abbia modo di vivere e seguire da tempo questo dramma da vicino e lontano, non tocca a me proporre un piano di pace. Ma posso almeno cercare nella mia piccolissima esperienza quotidiana un motivo di speranza, un metodo che lasci intravedere uno spiraglio.  

Comincio da lunedì scorso. Guidando per la città sento il “crac” di un sassolino che colpisce la mia macchina e non vedo da che parte viene. Poi al semaforo mi si affianca una donna (forse una zingara) che mi indica di tirar giù il finestrino e quando non lo faccio mi indica il suo specchietto rotto, gesticolando, per dirmi che sono stato io a colpirlo. Non ci casco, anche quando minaccia di chiamare la polizia.  Le lancio un paio di parolacce e via.

Il giorno dopo, mentre uscivo da un negozio in fretta perché speravo di arrivare a casa in tempo per pregare prima di un appuntamento, vengo fermato da un donna che assomigliava a quella del giorno precedente (forse una zingara). Mi dice “Padre, padre, padre. Voglio parlare con lei”.  Io rispondo a voce alta “No, ho fretta e vado via”. Poi ci ripenso, ricordandomi che sono bisognoso di Cristo, come tutti noi, e che forse è Lui a mandarmi questa donna. Torno da lei e in modo ancora brusco le dico “Di che cos’hai bisogno?”. Lei ricomincia con “O padre, per favore, per favore”.  Io taglio corto: “Dimmi cosa vuoi”. E lei “Voglio un panino”. Stabilisco da che negozio vuole il panino, vado dentro. Compro il panino, esco e poi glielo passo insieme con qualche euro per una bibita. Però nel frattempo due giovani che ora sono con lei, forse i suoi figli, vestiti molto bene, la convincono a cambiare storia. “Ma padre, mi hai capito male. Voglio la spesa dal negozio”. Senza cortesia dico che non avevo capito e comincio di andarmene. A questo punto i due giovani si avvicinano, ma li stronco subito con un “No!” e me ne vado.  

Ho sbagliato. Tutte e due le volte mi sono lasciato dominare dal senso dell’ingiustizia del comportamento dell’altro. Volevo o dominare la situazione o eliminare il fastidio. Ma non sono riuscito, come faccio spesso, a vedere l’opera di un altro in mezzo a tutto questo dispiacere.  Andando via ho capito che la pace nella mia vita non la posso avere cercando di eliminare ciò che sembra trattarmi con ingiustizia. Se non domando davvero di vedere un altro all’opera dovunque, anche dove non voglio stare, allora divento io che decido dove e come Lui deve operare la grazia nella mia vita, nel mio mondo. Devo io costruire il mio mondo.  

Se voglio la pace nella mia amatissima Terra santa, allora il Signore mi sta offrendo oggi la via per cominciare. La scoperta della Sua presenza è l’unico metodo che apre la realtà alla pace, anche dentro situazioni che ci sembrano ingiuste.  

Se vivo la mia vita per scoprire la pace che Cristo vuole portarmi, anche nei dispiaceri, nei dolori, o addirittura nell’ingiustizia, forse allora posso parlare, pregare, testimoniare la pace per gli altri.  

Che Dio mi aiuti. Che ci aiuti. 

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