Nelle incerte e contradditorie posizioni del governo, si vede una costante, oltre alla posizione sui migranti: i pentastellati sembrano opporsi a ogni intervento infrastrutturale e a favore di nuovi insediamenti industriali. Tale posizione è giustificabile?

La prima ragione che viene portata è di ordine ecologico, in difesa dell’ambiente che sarebbe distrutto da tali opere pubbliche e dalle fabbriche. Bisogna essere onesti: molti pretesti sono stati dati. In questi 70 anni di storia repubblicana, per finanziare i partiti con i cambiamenti di destinazione d’uso dei terreni agricoli, sono state favorite speculazioni edilizie e autorizzate lottizzazioni selvagge che hanno distrutto coste, colline, monti, pianure.

Per accontentare clientele avide di profitto e incuranti del paesaggio si sono fatti nascere ecomostri nei posti più belli di Italia, si sono permessi orridi megacentri commerciali, si è dissestata idrogeologicamente l’Italia. Per incuria del bene comune, si è permesso a molte industrie di sporcare aria e acqua. Per patti scellerati con la parte peggiore del mondo dei cacciatori, si è distrutta la fauna pregiata e tollerato il bracconaggio e oggi, per ignoranza e malafede si vuole addirittura riaprire la caccia al lupo. Per favorire le rendite locali dei politici, si sono deviate in modo ingiustificato autostrade (vedi quella del Sole da Firenze ad Arezzo come notò il Candido di Guareschi) o se ne sono costruite altre inutili.

Attenzione all’ambiente, valutazioni di impatto, distruzione degli ecomostri e delle case abusive, per altro spesso bloccate, lotta feroce contro ogni tipo di inquinamento e pericolo per la salute pubblica, difesa idrogeologica del territorio, tutela del paesaggio, della fauna e della flora selvaggia sono fondamentali aspetti della nostra civiltà. Non sono ostacoli, ma opportunità alla base di quello sviluppo sostenibile, ormai assunto giustamente dalle Nazioni Unite, e continuamente affermato nell’enciclica di papa Francesco.

Ma il progresso consente anche di non cadere in un ritorno al passato, tipo quello delle sette protestanti come gli Amish, che vivono senza la luce elettrica. Oggi si possono costruire ferrovie e autostrade, viadotti e gallerie senza distruggere la natura e si possono anche progettare oleodotti che non distruggono gli oliveti. È possibile mettere filtri agli scarichi industriali che tutelano acqua e aria, senza contrapporre lavoro ed ecologia. Si possono ristrutturare edifici esistenti spesso vuoti costruendo nuove abitazioni senza consumare nuovo suolo (come ha fatto la Lombardia di Formigoni). Si può tutelare l’ambiente edificando alberghi rispettosi di coste e monti, facendo guadagnare parimenti gli imprenditori.

E allora perché fare finta che questo non sia vero e muoversi di conseguenza con raziocinio e equilibrio tra le due istanze, che sembrano francamente ideologiche? Perché cedere alla pancia di qualche minoranza che risolve i problemi dicendo semplicemente “No Tav”, “No Tap”, “No industria”, senza chiedersi cosa voglia dire questo nel futuro?

Perché se è necessario porre fine allo scempio del Bel Paese è altresì necessario non diventare irrimediabilmente più arretrati e quindi più poveri. Per questo abbiamo bisogno anche di più infrastrutture rispettose dell’ambiente e più industrie pulite. Se non costruiremo la Tav saremo tagliati fuori dalla nuova grande Via della seta che va da Pechino a Lisbona a favore dei paesi d’Oltralpe. Se vogliamo intercettare la grande opportunità dell’allargamento del Canale di Suez e della ritrovata centralità del Mediterraneo per le merci, dobbiamo costruire la variante di valico Genova-Milano, ristrutturare i porti del Centro-Sud, collegarli alla rete ferroviaria e costruire anche una rete ferroviaria moderna Nord-Sud per le merci, che al momento non esiste.

Per non rendere marginali molte città dobbiamo estendere a esse l’alta velocità o più modestamente in certi casi almeno costruire il doppio binario. E per l’energia dopo aver bocciato in modo anti-ecologico il nucleare, infinitamente più pulito di petrolio e carbone e con meno impatto ambientale dell’idroelettrico, dobbiamo dotarci di oleodotti come il Tap, costruire degassificatori, estendere impianti di energia solare.

E cosa dire di acquedotti che sprecano il 50-60% dell’acqua senza arrivare ai consumatori? Non manca la necessità di adeguare in termini rapidi la rete informatica che in alcuni punti di Italia è a livelli penosi ed è necessaria per non rimanere tagliati fuori dai paesi più avanzati.

E solo chi confonde la vita civile con un programma di avanspettacolo può pensare di trasformare industrie come l’Ilva, fondamentali con il loro acciaio per tutto lo sviluppo italiano, in parchi giochi. Oppure pensare di non estendere il programma Industria 4.0, affiancandolo magari ad aiuti e investimenti per interventi anti inquinamento e defiscalizzazioni per chi occupa, investe, esporta.

C’è da chiedersi il perché di questa posizione. È l’inevitabile conseguenza di una mentalità egoista e individualista. A volte si distrugge l’ambiente che non essendo proprietà del singolo può essere violentato come si vuole. A volte, per ragioni uguali e contrarie, non ci si preoccupa di quegli strumenti che servono al benessere futuro di tutti come infrastrutture e industrie. In entrambi i casi cedendo alla pancia di minoranze irrazionali si distrugge il bene comune. Non è un caso: senza un’educazione a superare il proprio “particulare” non si può costruire una politica per il popolo.