Quando arriva questo momento dell’anno mi sento come se mi fosse passato sopra un camion a rimorchio. Più volte, non una. Questione di lavoro, come vi ho già raccontato in passato. Ancora me la cavo perché come tutti i giocatori d’esperienza ho ben presente come si gioca la partita e so far girare la palla al meglio (almeno così la vedo io). Ma le gambe… Ogni anno mi sembra che il camion che mi passa sopra abbia un rimorchio in più. Poi a complicare le cose ogni tanto, on a bad day, spunta l’invidia nei confronti di chi l’estate la passa in altra maniera, e l’invidia non è che stanca, l’invidia ammazza, rade al suolo l’albero della vita. L’invidia ti porta a misurare e a farlo malamente, e ti porta dove di tutto si conosce il prezzo e di nulla il valore, come scriveva Oscar Wilde.
Beh, tutta qui la mia estate? Se dicessi di sì non sarebbe tanto la mia estate a essere una miseria umana; la miseria umana sarei io. Infatti nella verità delle cose non è così: per dirla con parole che vanno di questi tempi, devo ammettere che la mia è un’estate “diversamente bella”. Di cose belle è pieno il mondo, ma bisogna avere gli occhi per vederle e il cuore per accoglierle. Così è anche per la mia estate, tanto invadente e prepotente da non permettermi di pensare a granché d’altro che agli impegni (e alle beghe) del lavoro. Eppure è un tempo pieno di cose belle. Per vederle e accoglierle basterebbe non farsi intrappolare dalle immagini di quel che si vorrebbe fare e di dove si vorrebbe essere, e anche smetterla di starsene col gomito puntato contro quel che c’è.
Certo, a volte viene istintivo farlo, ma poi ci ritroviamo a mani vuote e con in bocca l’amaro di quel che ci appare come una profonda ingiustizia. Queste cose più o meno le sperimentiamo tutti, le sentiamo tutti sulla nostra pelle, le sappiamo e magari le capiamo pure. Bruciano, feriscono, ma appena le circostanze si fanno più mansuete ce ne dimentichiamo. Sono cose che ci sono note e che magari abbiamo imparato a gestire, ma non a vivere.
C’è chi queste cose le sa dire bene, chi le sa scrivere bene e c’è chi le sa vivere. Proprio per questo un messaggio arrivatomi l’altro giorno mi ha colpito profondamente illuminando questo tempo d’estate che a volte faccio fatica ad accettare. Un messaggio che ha illuminato anche quelle giornate che non ti lasciano il fiato per respirare e quelle che scorrono lentamente con faticosa pesantezza. Anzi, soprattutto quelle. Viene da un’amica malata di cancro che si avvicina a grandi passi alla morte. A una nostra figlia che era andata a trovarla, abbracciandola, questa amica ha detto: “Sii grata per ogni istante in cui sei sveglia e perdona, perdona, perdona tutti. Non val la pena risentirsi e tenere il muso neanche un po’. E ama. Ama la gente che ti circonda come Gesù ama noi. Al mattino quando mi sveglio e mi rendo conto che sono ancora viva, sorrido e chiedo di vivere la giornata più bella del mondo”.
Ecco, la mia estate è tutta racchiusa qua. La sfida della mia estate è raccontata, spiegata, abbracciata, salvata, redenta da queste parole semplici e radicali. La Bellezza della mia estate è svelata, rivelata da queste parole. La mia estate fatta di lavoro e la tua magari ancora più pesante della mia, la tua vacanza con la famiglia e gli amici, o il fardello di quella pena, di un’ingiustizia che ti porti addosso come un chiodo nel cuore e nessuno conosce o vuol riconoscere. Anche la sofferenza della malattia. Lo scrivo perché è la cosa più semplice, più viva e vitale che mi è capitata per mano in questi giorni. Così ve la passo.
E nessuno venga a dirmi che non c’entra col business. Si lavora per vivere e costruire, non si vive per lavorare, o come diceva il mio povero suocero dall’alto della sua terza elementare, “Non si può morire per campare”. Ma di questo parleremo un’altra volta, quando questa bellissima estate sarà finita.