Dalle loro sedie a sdraio, all’annuncio del fatidico “rompiamo le righe e andiamo tutti in ferie”, molti italiani — autorevoli e non — hanno rilanciato sui social, con parole accorate di esortazione all’ascolto, un breve video in cui Sergio Marchionne diceva alcune semplici verità. Non ci sono diritti acquisiti per sempre e non ha senso reclamarli se non si parla prima di doveri e di come una società dovrebbe funzionare, produrre e crescere. Che i nostri giovani sono stati — attraverso un lento ma inesorabile percorso di svuotamento culturale — spinti a non considerare più l’impegno, il sacrificio e la serietà di valori su cui costruire il proprio avvenire, perché questo viene loro quasi sempre offerto gratis da genitori troppo premurosi e essi stessi appagati.

Cosa resterà in eredità agli italiani del pensiero di Marchionne e del suo esempio nei prossimi anni è difficile dirlo oggi, anche se già vediamo sfumare, come nei titoli di coda di un film, il dispiacere collettivo per la sua scomparsa. Quello che invece sappiamo da sempre è che gli italiani scelgono i loro miti secondo una modalità abbastanza semplice. Piacciono loro solo due tipi di leader, perché due sono i tipi di eroi in cui riescono a immedesimarsi. 

Il primo tipo è il leader che diventa tale in quanto di gran lunga migliore dell’italiano medio. Di fatto un diverso, un caso raro, in cui a un tratto è bello provare a riconoscersi e pensare che potremmo aspirare a essere tutti come lui un giorno. Lo si ama proprio perché irraggiungibile: è il leader dei momenti difficili a cui affidare le sorti del Paese ormai giunto sull’orlo del precipizio. Il secondo tipo è invece l’eroe che incarna l’italiano più italiano di tutti gli altri. Quello che tu guardi e ascolti e col quale ti immedesimi totalmente, purtroppo. Dalle barzellette che racconta al giudizio sul “décolleté” della signora seduta accanto, dall’indulgenza verso le piccole trasgressioni, alla convinzione che con la fantasia e la creatività si aggiusti tutto. Ovviamente è il leader giusto per i momenti più facili, e se c’è in cassa qualche soldo da spendere. Lascio a voi il compito di abbinare nomi conosciuti ai due profili descritti.

Marchionne ha colpito gli italiani per i suoi meritati guadagni e per le ferie mai consumate, per aver preso ben due società fallite e averle trasformate in poco tempo in due aziende con utili stratosferici, per aver imposto — praticamente vivendo su un aereo — regole, orari, modelli competitivi. Di Marchionne vivo non potevamo farcene nulla, vista la sua idiosincrasia per la politica. Non era un divo e non ha perso tempo a lasciare tracce del suo pensiero, se non involontariamente. Non aveva tempo per la vita sociale e di conseguenza gli aneddoti noti e le sue frasi celebri sono stati esauriti tutti nei giorni trascorsi tra la notizia della malattia e la fine effettiva.

Resta il fatto che decine di migliaia di imprenditori che hanno tentato — nei dieci lunghi anni di questa crisi — di fare quello che ha fatto lui lo considereranno l’ultimo eroe di una guerra combattuta in silenzio e in solitudine. Una lotta in nome delle aziende che guidavano, per difendere posti di lavoro, per non disperdere la ricchezza prodotta fino a poco tempo prima. E per costoro alla loro morte non vi sarà neanche il piccolo monumento a memoria dei caduti, proprio come quelli che due guerre vere hanno disseminato in ogni angolo di Europa.