Il bisogno di un’amicizia nuova

Cogliere il cuore del Vangelo, ma senza citarlo. Lo fa in una sua opera, "Quarantania", Tacita Dean. Anche a lei si è rivolto, nel 1964, il modernissimo Paolo VI. GIUSEPPE FRANGI

“Questo grande Papa della modernità”, così papa Francesco domenica all’Angelus ha voluto ricordare Paolo VI alla vigilia dei 40 anni dalla sua morte. Colpisce che tra tutte le definizioni possibili Bergoglio abbia scelto proprio questa per Montini: il papa della modernità. “Della modernità” significa che Paolo VI non ha soltanto avuto a cuore il complicatissimo e contradditorio tempo in cui è trovato ad essere capo della Chiesa, ma che lui stesso era parte di quel fenomeno. Non lo guardava, pur autorevolmente e amorevolmente, da fuori. Lo viveva da dentro.

Così quando avvertiva che la Chiesa cedeva alla tentazione di mettersi al riparo dal suo tempo, chiudendosi in un recinto protetto, lui usciva allo scoperto. Mi riferisco in particolare al tema del rapporto con gli artisti contemporanei. Paolo VI dedicò loro un incontro che ha segnato la storia, durante il Concilio, il 6 maggio 1964. Non si dava pace davanti all’evidenza che dopo un’amicizia durata per secoli, il rapporto tra la Chiesa e gli artisti si fosse interrotto. Ma anziché andare alla ricerca delle ragioni di questo distacco o proporre percorsi programmatici di riavvicinamento, papa Montini prese tutti in contropiede. 

Perché aveva proposto quell’incontro? “Sono ragioni del Nostro ministero che Ci fanno venire in cerca di voi”, disse Paolo VI. “Dobbiamo dire la grande parola che del resto voi già conoscete? Noi abbiamo bisogno di voi”. E a cosa è legato questo bisogno? Alla capacità di comunicare in modo commovente agli uomini del nostro tempo “il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio”. Montini precisava che la natura degli artisti li dota della “sensibilità, cioè, la capacità di avvertire, per via di sentimento, ciò che per via di pensiero non si riuscirebbe a capire e ad esprimere — voi questo fate!”. Montini riconosceva questa vocazione agli artisti, ben consapevole che spesso è stata usata in modo spregiativo: “Vi vediamo intenti a certe espressioni artistiche che offendono noi, tutori dell’umanità intera, della definizione completa dell’uomo, della sua sanità, della sua stabilità”. Ma Paolo VI vuole correre il rischio di sperimentare una nuova amicizia, proprio perché ritiene irrinunciabile quella capacità dell’arte di commuovere il cuore degli uomini moderni: “Noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci”.

Era una scommessa quella di papa Montini, dettata dalla drammatica coscienza di quella rottura che si era consumata tra la Chiesa e la modernità. Ad oltre 50 anni da quella storica giornata possiamo dire che davvero l’arte, forse proprio perché recuperata in quel rapporto di libera fiducia, tante volte è stata capace di sorprendere, e di dare forma ed espressione con linguaggio contemporaneo alle grandi domande dell’uomo. È un fenomeno che non ci si spiega, perché spesso si genera in modo imprevisto, spaccando quella crosta di una perdurante, babelica confusione. Ma è un fenomeno che proprio per questa sua “gratuità” tante volte colpisce e commuove.

C’è un episodio recente che rende l’idea di quel che sto cercando di dire. Alla Royal Academy di Londra in queste settimane si teneva una mostra di Tacita Dean, una delle esponenti di quella che era stata ribattezzata a inizio millennio Young British Art. Inutile dare dettagli sulla sua biografia, che come è facile immaginare è figlia di questa nostra caotica modernità.

Tra le opere esposte ce n’è una sorprendente e straordinaria, di grandissime dimensioni intitolata “Quarantania”, cioè “Quarantena”. Il riferimento è ai 40 giorni passati da Gesù nel deserto prima della sua vita pubblica. Vi si vede una massa montagnosa che si alza nel deserto, sotto un cielo pulsante di rosso. L’effetto è potente e impressionante, ottenuto con la tecnica della fotoincisione sulla quale l’artista ha aggiunto personalissimi interventi grafici. Non c’è una narrazione letterale dell’episodio documentato dai Vangeli, ma Tacita Dean ne coglie il cuore: il suo sguardo è tutto puntato sul fremito della terra davanti a ciò che in quei 40 giorni era in gioco. Il fremito della terra in quell’attesa. Come ha notato una critica inglese, Sheona Beaumont, “Quarantania” colpisce e commuove chiunque entri nella sala (e si tratta di migliaia di persone) perché si percepisce immediatamente come la prospettiva di Tacita Dean sia del tutto personale: lei entra tra le fessure delle rocce con la precisa sensazione che lì, sotto quel cielo sanguinante di luce, ci sia qualcosa che c’entri con la sua vita e il suo destino.  

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