Sbagliano coloro che criticano l’accordo tra Pechino e il Vaticano dicendo che Roma ha ceduto troppo. È esattamente l’opposto: una vittoria a pieno titolo nel cuore del nuovo impero. La Cina che ha firmato un accordo con la Santa Sede per la nomina dei vescovi è una Cina apertamente espansiva. Xi Jinping ha fatto del Paese un impero che non si nasconde, ha riacquistato il controllo assoluto del partito e del Governo come ce l’aveva Mao. E il presidente plenipotenziario non nasconde più le sue intenzioni di egemonia mondiale, come avevano fatto invece i suoi predecessori. Gli errori di Trump con la guerra commerciale, il suo isolamento in Asia, il modo in cui ha negoziato con la Corea del Nord e il suo confronto con tutti i suoi possibili partner stanno spianando la strada a Xi. L’espansione attraverso il Golfo di Malacca e il controllo di teste di ponte come il porto del Pireo in Grecia stanno consentendo la realizzazione di una Nuova Via della Seta che arriva fino all’America Latina. La nuova Cina alla fine ha smesso di essere una potenza solo terrestre, ha realizzato il suo sogno di dominare anche i mari.

L’espansione esterna è accompagnata da un crescente nazionalismo che garantisce il sostegno popolare a Xi. Buona parte dell’opinione pubblica cinese (se è possibile usare questa espressione) si sente orgogliosa dei sistemi di controllo di uno Stato che filma tutto, registra tutto, controlla tutto con un’intelligenza artificiale molto potente. Il consumismo e la possibilità di fare soldi sommano di fatto il peggio del capitalismo al peggio del comunismo. Com’è possibile che questa Cina abbia firmato un accordo con il Papa di Roma (che non ha né esercito, né denaro) in cui accetta una qualche forma di sovranità esterna nella nomina dei leader della comunità cattolica (vescovi)? 

Molto prima che il comunismo raggiungesse il Paese, la Cina si concepiva già come una sfera chiusa. La mentalità di un impero millenario concepisce il potere come qualcosa di autosufficiente. La Città Proibita non è solo il palazzo dell’imperatore; in tutto il Paese, nel suo insieme, è vietato avere riferimenti esterni. L’imperatore è l’inizio e la fine. Ecco perché è così rilevante che, per la nomina dei vescovi, Xi riconosca che c’è qualcosa al di fuori di lui. C’è qualcosa al di fuori della sfera e si chiama Papa di Roma.

L’accordo con la Santa Sede è provvisorio. E Pechino non lo rispetterà, forse una volta su quattro, perché in Cina nulla è lineare, nulla è soggetto al principio di non contraddizione. La Cina dirà che l’accordo è ancora valido e probabilmente tornerà a designare vescovi non autorizzati dal Papa. Non importa. Ciò che è realmente rilevante è che la sfera della Città Proibita è stata aperta dalla fede e dalla fedeltà dei semplici. Cinquant’anni fa Mao creò l’Associazione patriottica cattolica cinese con lo scopo di fondare una Chiesa nazionale sottomessa al Partito comunista. L’Associazione patriottica sceglieva quali sacerdoti dovessero diventare vescovi in consacrazioni illecite perché non decise dalla Santa Sede. Coloro che non vollero accettare le nomine di tali vescovi fecero una vita di catacomba nella cosiddetta Chiesa sotterranea. La testimonianza di molti dei suoi martiri, di molti dei suoi vescovi torturati, imprigionati per decenni nei campi di lavoro per la loro fedeltà a Roma è un tesoro di cui usufruiremo per molto tempo. 

Ciò che sorprende è che dopo la grande persecuzione, con l’arrivo dell’apertura di Deng Xiaoping, si è scoperto che la stragrande maggioranza dei vescovi che erano stati nominati senza il consenso del Papa è rimasta fedele a Roma. All’inizio di questo secolo, quasi tutti i vescovi erano in realtà romani, anche se erano stati ordinati secondo le direttive dell’Associazione patriottica. Il fatto che papa Francesco in questi ultimi mesi abbia posto diversi vescovi prima illegittimi (nel nominarli il Papa li ha legittimati) a capo delle diocesi dove c’erano vescovi legittimi dimostra il fallimento del Partito comunista. 

Non c’è una Chiesa scismatica. Ora ci sono solamente sette vescovi illegittimi (ordinati senza il consenso di Roma) che non sono stati legittimati in alcun modo. In Cina non ci sono due chiese. Ci sono stati alcuni vescovi che hanno dato e danno testimonianza profetica non accettando la pretesa del controllo del partito e altri che, al fine di garantire la continuità dei sacramenti e la visibilità della fede, hanno accettato le imposizioni che gli sono arrivate dal potere. Ma il tempo ha chiarito che tutti erano e sono veramente cattolici. Persistono, è vero, diverse sensibilità, incomprensioni e persino scontri tra la Chiesa sotterranea, sempre più minoritaria, e la cosiddetta Chiesa ufficiale. Ma in pratica la vita ha cancellato molte differenze. La vita in Cina è per lo più urbana e i fedeli cattolici (10-15 milioni) non trovano altri sacramenti se non quelli amministrati dalla Chiesa ufficiale. L’Associazione patriottica controlla teoricamente i grandi seminari come il Seminario nazionale di Pechino, ma si tratta di un controllo che non riguarda le questioni essenziali della fede e non impedisce ai futuri sacerdoti di trasmettere appieno l’esperienza cristiana. 

Nonostante gli sforzi per “cinesizzare” il cattolicesimo, l’ultimo è una legge dello scorso febbraio che intensifica i controlli, il cattolicesimo cinese è rimasto cattolico e romano. La Cina è un impero, un impero come quelli antichi, in cui l’imperatore è il riferimento ultimo politico e religioso. I cattolici cinesi continueranno a non avere ancora una piena libertà religiosa come quella che c’è in Occidente, ma la fedeltà dei semplici ha aperto una nuova crepa nella sfera: un passo è stato compiuto, il tempo dirà di che dimensioni, in un terreno impossibile.