Uno dei momenti più intensi del viaggio di Papa Francesco nei Paesi baltici è stata la benedizione che tutto il popolo gli ha impartito sabato pomeriggio, durante l’incontro con i giovani sulla piazza antistante la cattedrale di Vilnius. È una consuetudine lituana, quando si prega per qualcuno, imporgli le mani, impetrando su di lui la discesa dello Spirito Santo; ma quella selva di mani levate, nella piazza e sul palco dov’erano presenti i vescovi e il coro, oltre a riportare alla memoria la sera del 13 marzo 2013, quando il neoeletto Jorge Bergoglio chiese la preghiera del popolo di Dio e la ascoltò a capo chino, è stata un segno eloquente, tangibile della carnalità del corpo della Chiesa e della sua unità intorno a Pietro.



In questi giorni papa Francesco ha realmente parlato come “uno che abbia autorità”, restituendo ai popoli baltici un volto e un’identità che, dopo l’eroica resistenza durante le occupazioni nazista e comunista, sta fortemente rischiando di erodersi o stravolgersi. Le ferite di un passato remoto e recente, lo scontro fra memorie che sovente cozzano fra loro, l’illusione di poter saldare i conti con il passato attraverso un'”europeizzazione” laicista o il ritorno a culture ancestrali, sono state seriamente prese in considerazione dal papa che, nell’incontro con le autorità lituane, non ha temuto di dire: “Guardando allo scenario mondiale in cui viviamo, dove crescono le voci che seminano divisione e contrapposizione o che proclamano che l’unico modo possibile di garantire la sicurezza e la sussistenza di una cultura sta nel cercare di eliminare, cancellare o espellere le altre, voi lituani avete una parola originale vostra da apportare: Ospitare le differenze“.



A Tallinn, all’incontro ecumenico con i giovani, Francesco si è spinto fino a mettere in questione la Chiesa stessa e la sua presenza oggi nel mondo: “Sappiamo… che molti giovani non ci chiedono nulla perché non ci ritengono interlocutori significativi per la loro esistenza. È brutto questo, quando una Chiesa, una comunità, si comporta in modo tale che i giovani pensano: ‘Questi non mi diranno nulla che serva alla mia vita’. Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, perché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante…”.



Ma papa Francesco ha raccolto la sfida, affermando che, “al di là dei nostri limiti, delle nostre divisioni, Gesù continua ad essere il motivo per essere qui… Lasciamo che lo Spirito Santo ci faccia contemplare la storia nella prospettiva di Gesù risorto, così le nostre Chiese saranno in grado di andare avanti accogliendo in sé le sorprese del Signore… Il Signore ci sorprende perché la vita ci sorprende sempre. Andiamo avanti, incontro a queste sorprese”.

Francesco ha legato la sua insistenza sulle radici a luoghi di sofferenza (i memoriali delle vittime delle repressioni), e a persone concrete presenti davanti a lui: ad esempio, l’arcivescovo Sigitas Tamkevicius e suor Nijole Sadunaite, che negli anni del regime sovietico diedero una voce al popolo lituano fondando la rivista clandestina Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania e promuovendo una rete di solidarietà che varcava i confini del paese per saldarsi al movimento della rinascita religiosa in Urss (e hanno pagato per questo con anni di lager e di deportazione). Proprio questi luoghi e queste persone sono stati il simbolo di un’unità che abbracciava russi e lituani, cattolici e ortodossi, impegnati in una comune battaglia per l’uomo e la sua libertà. Oggi purtroppo le giovani generazioni non sanno quasi niente di questo passato, a cui invece il papa ha rimandato per costruire creativamente un futuro nuovo: “Mantenete sempre vivo quanto di più autentico e originale vive in voi e che vi ha permesso di crescere e di non soccombere come Nazione: la tolleranza, l’ospitalità, il rispetto e la solidarietà”.

La memoria – ha ribadito più volte papa Francesco, ma in modo particolarmente efficace a Tallinn – è tutto l’opposto di un pio ricordo: “Ragazzi e ragazze, l’amore non è morto, ci chiama e ci invia. Chiede solo di aprire il cuore. Chiediamo la forza apostolica di portare il Vangelo agli altri – ma offrirlo, non imporlo – e di rinunciare a fare della nostra vita cristiana un museo di ricordi. La vita cristiana è vita, è futuro, è speranza! Non è un museo!”. La discriminante è proprio l’amore evangelico, che Francesco ha posto al centro della sua visita, esortando: “Dobbiamo vincere la paura e lasciare gli spazi blindati, perché oggi la maggior parte degli estoni non si riconoscono come credenti. Uscire come sacerdoti: lo siamo per il Battesimo. Uscire per promuovere la relazione con Dio, per facilitarla, per favorire un incontro d’amore con Colui che sta gridando: ‘Venite a me’ (Mt 11,28)”.