Può sembrare un gioco di parole quello fra “sforare” o “sfiorare” la soglia del 3% fra deficit corrente e Pil nella legge di stabilità 2019. E può apparire questione essenzialmente politica: sia per gli equilibri interni, sia soprattutto verso la Ue, quando la campagna elettorale fra ortodossi e populisti è già accesa in tutt’Europa. Tanto che fra gli scenari ancora accreditati nei giorni scorsi vi era questo: il governo gialloverde insisterebbe a proporre un budget “fuori parametro” – magari non di molto – per provocare le reazioni dell’Europa (burocratiche a Bruxelles, politiche in Francia, Germania, Spagna) e scaldare ulteriormente l’avvicinamento al voto di maggio.

E’ vero che mentre il fronte M5S è in escalation di toni, dalla Lega – in particolare dal sottosegretario alla Presidenza Giorgetti – si stanno moltiplicando indicazioni più prudenti: lo spread sta “sfiorando/sforando” quota 300 e l’indice manifatturiero Pmi di agosto in Italia è sceso ai minimi da 24 mesi. La fiducia nell’Azienda-Italia non sta tornando a soffrire solo sui mercati finanziari, ma anche fra gli imprenditori nazionali. I quali – dopo il “decreto dignità” – stanno dando segnali di crescente nervosismo verso gli approcci “creativi” di politica economica da parte del nuovo governo, su ogni versante: ipotesi di manovra finanziaria, politica industriale e del lavoro, euro, piani infrastrutturali sul crinale pubblico-privato.

Il ministro dell’Economia Tria, dal canto suo, ha già fatto chiaramente capire che non è disposto a firmare alcuna legge di stabilità fuori dai parametri fissati dalla Ue (regole che potranno essere discusse e riformate, ma che ora sono in vigore e vanno rispettate, ha ricordato a Rimini il ministro degli Esteri Moavero). Non sembra in fondo pronto a fare “finanza creativa” neppure il premier Conte, sotto la tacita attenzione del Quirinale.

Tria, invece, di rientro dalla Cina ha preso a ventilare una manovra imperniata su un deficit-ratio al 2%: superiore all’1,3% di compatibilità aritmetica con la crescita stimata per il Pil; ma inferiore al 3% massimo teorico consentito (è il parametro debito/Pil alla linea rossa del 130% a non consentire tuttora una maggior flessibilità: quanto meno in fase di prima scrittura della manovra).

Il tema – almeno quello riproposto da ministro – sembra quindi restare una buona allocazione di un monte-risorse ancora limitate. E il rischio è quello che i due partner di governo insistano sulle promesse elettorali (magari da tenere lucide in vista della prossima campagna europea), con il risultato assai probabile di una manovra-patchwork, informe e quindi di per sé inefficace, se non controproducente.

Si ponga l’asticella al 2, al 2,5 o al 2,9 per cento, resta ovviamente compito della politica individuare priorità e ponderare scelte. Filtrando all’estremo le indicazioni provenienti sia dagli analisti internazionali che dagli opinion-maker interni, è comunque possibile far emergere alcune linee di tendenziale consenso.

– Un allentamento della pressione fiscale può essere consigliabile per stimolare la ripresa, ma lontano da ogni suggestione di flat tax generalizzata e indeterminata. Occorre, al contrario, un approccio selettivo, con un orientamento alle imprese più trainanti. E su questo terreno la conferma del piano di medio periodo “Industria 4.0” apparirebbe a molti scontata ed esemplare: sia per l’efficacia economica già testata per gli incentivi alla digitalizzazione; sia anche per la credibilità che un passo simile conferirebbe a un governo che finora ne ha mostrata davero poca sul terreno della politica economica.

– Il reddito di cittadinanza in versione elettorale è inequivocabilmente non praticabile, non solo nella visione dei mercati e dei tecnocrati Ue. Apparirebbero forse meno impraticabili programmi pubblici di investimento in education e a sostegno all’imprenditorialità rivolte a giovani ed “over 50”: programmi, per esempio, collegati con Industria 4.0 e con le politiche attive per il lavoro disegnate dal Jobs Act (o, perché no, anche con il passaggio a politiche di accoglienza dei migranti meno emergenziali e più consapevoli delle risorse potenziali che i barconi portano sulle spiagge italiane).

– La tragedia di Genova ha subito spinto il governo (soprattutto la componente M5S) a inseguire revanscismi anti-privatizzatori. Ma (come anche il caso llva conferma) non è con le diatribe politico-legali che si ricostruiscono punti di Pil, posti di lavoro, attrattività-Italia per gli investimenti internazionali. L’Italia può e deve ripartire, invece, da serie strategie infrastrutturali: e con quelle sì andare all’incasso, subito, di ogni euro disponibile a regole date nei conti finanziari dell’Unione (e anche in quelli politici: terreno su cui si misura la reale capacità di governo della maggioranza parlamentare di uno dei Paesi fondatori dell’Europa).