Sui grandi media italiani il rapporto Oxfam sulla diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza nel mondo – presentato al Forum di Davos – ha fatto titolo per il dato macro-globale: 26 “paperoni” (quasi tutti statunitensi, un pugno di cinesi e altri asiatici e tre europei) assommano patrimoni individuali a due o tre cifre in miliardi di dollari che superano la ricchezza posseduta da 3,8 miliardi di abitanti del pianeta, i più poveri. Nel corso del 2018 i primi sono diventati ancora più ricchi (nel 2017 ci volevano 43 iper-miliardari per pareggiare il patrimonio aggregato della metà più povera della popolazione globale). Oppure: la metà più povera è diventata complessivamente più povera (-11% di ricchezza netta). Il rapporto raccoglie e rilancia un’infinità di cifre e tenta alcuni spunti di analisi: fra questi spicca una vasta e articolata “diseguaglianza fiscale” in cui si mescolano evasione, elusione, politiche ultra-liberiste, cronica inefficienza dei welfare statali nello spendere le risorse.
Meno spazio ha trovato il focus sull’Italia: dove il 5% degli abitanti possiede quanto il 90% più povero e al 20% è riferito il 72% della ricchezza. Nel rapporto 2017 lo stesso “primo quintile” registrava il 66% della ricchezza, nel 2010 il 61%. L’anno scorso il 60% più povero poteva contare sul 14,8% della ricchezza italiana: nell’ultimo rapporto su poco più del 12%. Dieci anni fa – rammenta Oxfam – i miliardari italiani nella classifica di Forbes erano 10: nell’ultima graduatoria disponibile (inizio 2018) erano 43. Ancora: gli italiani sotto la soglia statistica di povertà – nelle rilevazioni Istat – sono risaliti nel 2018 a 5 milioni: il dato più alto dal 2005.
Sui nessi causa-effetto nella crescente diseguaglianza socioeconomica in Italia, il dibattito è aperto da tempo e continuerà nei suoi mille rivoli. Certamente ha colpito che i titoli sul rapporto Oxfam siano stati oscurati dai nuovi allarmi del Fondo monetario internazionale sul rischio-recessione in Italia. Non è affatto sorprendente – ma neppure scontato – che una prolungata debolezza del ciclo economico incrementi le diseguaglianze: è comunque quanto è accaduto nell’ultimo decennio, scosso non solo in Italia da una crisi sistemica. Ed è purtroppo prevedibile che l’effetto tenda ad accentuarsi in caso di nuovi rinvii della ripresa e di nuovi stop-and-go del Pil.
Ma proprio per questo non sembra fuori luogo tentare un rovesciamento della prospettiva: perché non stimolare la ripresa aggredendo le diseguaglianze? Perché non cercare nuova fiducia – la grande risorsa distrutta dalla crisi – non nei parametri dei patrimoni banche e dei bilanci statali, ma in parametri socio-economici più equi fra le persone e le famiglie? Perché non riconoscere che i fossati in economia possono essere più pericolosi dei muri in politica o fra Paesi?