Il discernimento in politica è come una password, illumina di umanità il cammino di un popolo, è l’arte di vagliare, princìpi, dati scientifici e il “sentire” storico di una cultura per fare scelte. E la politica è scegliere. Attraverso il discernimento si risponde ad alcune fondamentali domande: Quale decisione è utile prendere per il bene di tutti? Come evitare il male sociale e costruire il bene comune?
Santa Caterina da Siena si rivolse ai politici del suo tempo per chiedere loro di discernere: “Non si può essere buoni politici, se prima non si signoreggia se stessi. Coloro che non si governano non possono governare la città”. “Siete responsabili di cose non vostre”, ricordava agli amministratori.
Eclissare il discernimento significa far morire il prossimo, considerarlo una cosa o un pericolo da tenere lontano.
Rimettere al centro della sfera pubblica quest’arte antica significa creare una grammatica comune tra la cultura laica e quella credente. Da quando nel 1523 Ignazio di Loyola ha scritto le regole del discernimento, queste sono state utilizzate e applicate da re e regine, docenti e ministri, professionisti e commercianti, studenti e manager d’impresa.
Il Magistero della Chiesa lo ribadisce: il discernimento permette di integrare la verità e la libertà, la legge e la responsabilità, l’autorità e l’obbedienza, che, dal latino ob-audire, significa ascoltare davanti all’Altro. Lo ribadisce anche il Concilio Vaticano II con uno dei suoi testi più belli: “L’uomo ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore; obbedire [ad essa] è la dignità stessa dell’uomo, e secondo questa egli sarà giudicato” (Gaudium et spes n. 16).
Quando invece l’agire politico è macchiato da forme di corruzione diffusa, concussione, accordi con la criminalità organizzata, gestione clientelare e così via, la coscienza sociale si eclissa. Il fascino del male si offre gratis nella vita sociale e politica, ma obbedire alle logiche del male lascia più vuoti e più delusi di prima, perché il male usa e poi accusa chi lo compie, costringendo a vivere in una vita di ricatti e di paure. Ignazio di Loyola, che da cavaliere di corte la vita politica l’aveva conosciuta personalmente, definiva questa dinamica una “schiavitù” alimentata da “piaceri e godimenti”. Se si ricerca il bene invece viene donato “coraggio, forza, consolazioni e pace”.
Tecnicamente, il discernimento politico si caratterizza per un fine e un metodo. Il fine è quello di compiere scelte concrete come le riforme politiche o le sentenze delle Corti costituzionali europee. Il metodo, invece, include la pianificazione, tempi, coerenza, azioni precise. Vision e mission, attuazione della scelta e verifica nel tempo dei risultati, fanno parte del metodo del discernimento.
Anche l’obiezione di coscienza rientra nel discernimento, è luce che illumina le tenebre, fa progredire i diritti umani e chiarisce i doveri. Nella storia del diritto, nasce dalla scelta di poche persone. Donne e uomini non violenti ma convinti e determinati, che hanno fatto del loro ideale buono a servizio degli altri la loro ragione di vita.
Negli anni Ottanta e Novanta gli obiettori sono stati una forza silenziosa di pace. Anche l’esercito convertì la sua azione in difesa della pace. Allo stesso modo anche oggi l’obiezione di coscienza verso ogni forma di violazione o di contrazione dei diritti acquisiti, potrà cambiare la legge e renderci più responsabili gli uni verso gli altri. Amor odit inertes (l’amore odia gli inerti).
Occorre allora ritornare a discernere e farlo nelle comunità di appartenenza. “Per diventare uomini del discernimento – ha sottolineato Francesco – bisogna essere coraggiosi, dire la verità a se stessi. Il discernimento è una scelta di coraggio”. La sfida è ripartire da qui.