La City di Londra genera un Pil pro capite pari a 21 volte quello del distretto bulgaro di Severozapaden: il meno dinamico fra i 104 mappati dall’Eurostat due anni orsono. Non è stata una grande sorpresa quando l’agenzia statistica della Ue ha diffuso l’ultimo rapporto su “Gdp at regional level” (il prossimo, su dati 2018, è annunciato per settembre). Al test del reddito disponibile pro capite (su dati 2015) il gap fra la “Inner London” e i Balcani risultava ridotto a 12,5 volte, ma confermava con efficacia quanto larghi siano tuttora i confini dell”Europa “diseguale” quasi alla vigilia della scadenza di Agenda 2020: la “Strategia di Lisbona” che dieci anni fa ha posto la coesione socio-economica dell’Unione fra le grandi priorità.
Rivisitando lo studio Eurostat (lo ha fatto pochi giorni fa l’economista Marco Fortis sul Sole 24 Ore), le sorprese tuttavia non mancano, anzi: sono forse più numerose oggi. Come e perché l’amministrazione Macron, per esempio, ha potuto ignorare che 48 milioni di francesi (il 72% della popolazione) risultavano disporre già nel 2016 di un “potere d’acquisto standard” inferiore alla media Ue-28 (circa 24mila euro annui)? Questo ben prima che scoppiasse la rivolta dei gilets jaunes. E nella stessa situazione apparivano i due terzi degli europei britannici, che proprio nel 2016 hanno votato Brexit.
In Germania – dopo dieci anni di turbolenze economico-finanziarie – l’82% della popolazione è invece sopra la media Ue e gli abitanti dell’Alta Baviera si ritrovano nelle tasche il reddito pro capite medio più alto in assoluto fra gli oltre 500 milioni di cittadini della Ue. Un dato di doppia diseguaglianza: una linea di frattura visibile sia sulla frontiera esterna (fra Germania e resto della Ue) sia, ultimamente, anche all’interno del più grande Paese dell’Unione. Il 18% dei tedeschi al di sotto della media Ue per reddito pro capite è infatti concentrato nei Länder orientali: dove non a caso sono sempre più pronunciati i fermenti xenofobi e neonazisti.
E l’Italia? Ai raggi X Eurostat la penisola non sfugge alla polarizzazione ormai dominante nella Ue e non solo. La distanza fra i 26mila euro di reddito disponibile medio pro capite in Alto Adige e gli 11mila della Calabria è citata come esemplare in Europa (ed è sostanzialmente sovrapponibile al gap fra i Pil pro capite). Tuttavia il 62% degli italiani (l’intero Nord, la Toscana e il Lazio) a fine 2016 appariva in vantaggio sulla media Ue. E’ anche vero che – Fortis lo ha notato – anche regioni come le Marche o l’Umbria emergevano sotto la media Ue, allineate con le aree della Francia interna che hanno alimentato la rivolte jaune. Per non parlare, ovviamente del Sud: dove la Campania (63% della media Ue) è sui livelli dei territori d’Oltremare francesi.
Nell’Europa “diseguale” spiccano anche le piazze offshore. La prima area per Pil pro capite statistico (6 volte la media Ue) è la Londra della Borsa e delle banche. Seguono il Lussemburgo delle “casseforti”, testa a testa con l’Irlanda sud-orientale, dove la capitale Dublino è nei fatti un paradiso fiscale interno alla Ue per migliaia di multinazionali. La quarta regione apparentemente più produttiva dell’Unione è la sua stessa capitale Bruxelles: la cittadella dell’eurocrazia. Solo al quinto posto s’incontra un’economia regionale “reale”: l’area industriale e portuale di Amburgo.
Chiunque voglia ricostruire davvero l’Europa, chiunque sarà chiamato a ricostruirla dopo il voto di maggio non potrà non ripartire dai nodi strutturali della diseguaglianza. E una campagna elettorale politicamente seria dovrebbe dipanarsi attorno a questo tema: lontano sia dagli estremismi tecnocratici sia da quelli populistici.