È stato detto – non per semplice paradosso – che la “lotta all’evasione fiscale” è configurabile come un derivato della finanza pubblica. È un problema – comune in misura diversa a tutte le economie Ocse – che impone un’azione amministrativa, la quale può trasformarsi in opportunità per il bilancio statale. Ma – esattamente come un derivato sui mercati finanziari – la valorizzazione della “lotta all’evasione” è sempre indefinibile e rischiosa per l’Erario: nonostante ogni anno Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza vi s’impegnino a fondo e conseguano sempre risultati tangibili (19,1 miliardi di recuperi aggregati nel 2017, su un gettito complessivo di 513 miliardi e su un’evasione stimata dagli esperti del Mef in 107 miliardi).
Il dato 2017 – l’ultimo disponibile – è stato leggermente inferiore ai 20,1 miliardi del 2016: quando si registrò il picco di un trend crescente iniziato nel 2012 con i 12,5 miliardi riportati a casa dal governo Monti. Ma si tratta pur sempre di una cifra aggregata e la “lotta all’evasione” ordinaria – secondo il servizio di fact checking dell’Agi – non ha mai fatto registrare incrementi annui superiori a 1,1 miliardi. Uno scalino effettivo – 4,1 miliardi nel 2016 – si è potuto contabilizzare solo in seguito a un provvedimento straordinario come l’ultima voluntary disclosure decisa dal governo Renzi sui capitali illegalmente detenuti all’estero.
A ogni scadenza di manovra, in ogni caso, la voce “maggiori incassi dalla lotta all’evasione” trova il suo spazio come utile tappabuchi contabile, tollerabile per le autorità Ue a patto di essere mantenuto in dimensioni accettabili in via assoluta e relativa. Lo sarebbero probabilmente i 2,7 miliardi che lo stesso NaDef appena varato dal Conte-2 ipotizza di recuperare in via incrementale “a normativa data”. Non lo appaiono certo i 7 miliardi di previsione d’incasso addizionale, per di più posti ad architrave di un progetto di legge di stabilità indirizzato a sfruttare una flessibilità Ue di 12-13 miliardi, tenuto conto del vincolo di neutralizzazione di 23 miliardi di clausole di salvaguardia.
Il Mef, certamente, si prepara a usare armi nuove contro l’evasione “minuta”. Il contrasto all’uso del contante e l’incentivo annunciato ai pagamenti digitali e tracciabili promette risultati: che difficilmente, tuttavia, potranno rivelarsi subito di portata strategica. Esattamente come ogni progetto di “rottamazione” di bollettini fiscali disparati. Considerazioni analoghe merita però anche l’azione sul versante più impegnativo ma anche più potenzialmente redditizio della “lotta all’evasione”: quello delle sofisticate operazioni di elusione fiscale da parte di grandi imprese, soprattutto i giganti multinazionali.
Mentre l’Antitrust Ue ha messo in campo un’epocale battaglia-pilota contro Apple (minacciando una multa da 14 miliardi di euro per “schemi fiscali” appoggiati sul “paradiso interno” irlandese), l’Italia si è appena segnalata per i successi ottenuti da “modello Milano”. In 17 mesi l’azione coordinata della Procura milanese, dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, ha fruttato 1,8 miliardi recuperati da 34 grandi contribuenti: fra quali i quattro “Gafa” statunitensi (Google, Apple, Facebook e Amazon) e alcuni grandi marchi della moda. Una “caccia al tesoro” riuscita: ma per molto meno di 7 miliardi e con un grosso “investimento” di energie amministrative, finalizzato fra l’altro a cambiare il più velocemente possibile – ma in fondo gradualmente – i rapporti fra il Fisco nazionale e i grandi redditi imponibili riferibili nel sistema-Paese.
Il “test-Milano” è apparso comunque efficace e realistico nel “chiamare allo sportello” i grandi elusori internazionali. Con i nuovi player globali è più utile aprire una relazione strutturale di lungo periodo piuttosto che inseguire meccanicamente il passato: formalmente in chiave punitiva, sostanzialmente in chiave di concordati una-tantum, a rischio-ripetizione.
Fa bene il Governo a rilanciare la lotta all’evasione senza demagogie e con strumenti che – direbbe il Nobel per l’Economia 2018 Richard Thaler – arrivano a segno su tutti i contribuenti come decise “spintarelle” piuttosto che come ceffoni a vuoto. Meno bene sembra fare un Governo che pecca di credibilità sia quando fissa per la lotta all’evasione obiettivi non raggiungibili, sia quando usa quest’ultimi come alibi per non affrontare una seria spending review.