I silenzi della manovra

Sia ciò che si vede abbozzato nel Nadef sia quello che ancora non lo è suscitano più di un dubbio. Soprattutto sul fronte del dossier-ripresa

A caldo, i commenti sul NaDef sono stati pressocché concordi nel sospendere il giudizio di stretto merito politico-economico. Il puzzle della manovra in costruzione – come aveva previsto Stefano Cingolani sul Sussidiario poche ore prima del Consiglio dei ministri – è ancora lontano dall’essere ricomposto.
 
In attesa del disegno di legge di stabilità e soprattutto dei decreti fiscali collegati, l’elemento di spicco è certamente il rapporto deficit/Pil al 2,2% posto a cardine dello schema. Si tratta, in modo significativo, di un valore esattamente intermedio fra il 2,4% ipotizzato un anno fa dal Conte-1 e il 2% poi concesso dalla Ue. E’ poco immaginabile che il Conte-2 abbia spedito a Bruxelles questa cifra nero su bianco “al buio”: come fece in termini provocatori a fine 2018 la maggioranza M5s-Lega, costretta poi alla ritirata e punita mesi dopo da una procedura d’infrazione per debito eccessivo. Quindi la “flessibilità Ue” – tanto attesa dopo il cambio di esecutivo – comincia a essere visibile, anche se in misura inferiore all’ottimistico 3% evocato con insistenza all’avvento della maggioranza M5s-Pd-Iv-Leu. Sbaglierebbe tuttavia, chi sottovalutasse come “implicito” il valore della sintonia subito allacciata con la nuova Commissione Ue. Troppo spesso nel dibattito italiano – sempre attraversato da pulsioni anti-euro – viene dimenticato che dall’eurozona l’Italia un giorno potrebbe anche ritrovarsi esclusa o relegata in un’area “a seconda velocità”.  Intanto – par di capire – almeno per il 2020 – anno previsto ai limiti della recessione in tutt’Europa – l’Italia non avrà il fiato al collo sul debito (anche se difficilmente potrà eludere l’elaborazione di uno schema di impegni, magari a medio termine).
 
Questo premesso – ma come doverosa prima evidenza – sia ciò che si vede abbozzato nel Nadef sia quello che ancora non lo è suscitano più di un dubbio. Nel primo ambito risalta certamente la conferma del reddito di cittadinanza e del pacchetto previdenziale “quota 100”. Qui una discontinuità rispetto al governo “giallo-verde” era attesa anche perché auspicata da molte voci. Già un anno fa, in ogni caso, il Sussidiario aveva espresso le sue riserve verso un provvedimento vetero-assistenziale che riproponeva una pericolosa mescolanza fra politiche sociali (contrasto alla povertà), politiche del lavoro (contrasto alla disoccupazione giovanile) e politiche di sviluppo al Sud. Idem per “quota 100”: iniziativa a saldo combinato tendenzialmente negativo fra Pil, equilibri previdenziali e nuova occupazione.
 
Sono molte d’altronde anche le incertezze che filtrano  dai “buchi” della Nota aggiuntiva. La sterilizzazione dell’Iva rimane un impegno politico, non una decisione finanziaria strutturata attraverso adeguate coperture: lasciando correre nel frattempo rumor di mini-patrimoniali mascherate in appesantimenti della tassazone sulla casa (magari a valle di tagli ai Comuni).
 
Un silenzio poco convincente resta – per ora – quello complementare alla conferma di RdC e quota 100: l’assenza di indicazioni sulla politica industriale (se n’è parlato l’altra sera anche alla presentazione milanese del XIII rapporto della Fondazione per la Sussidiarietà, presente l’ex ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda). Industria 4.0 ma non solo: il dossier-ripresa – tuttora centrale e irrisolto nell’Agenda-Paese – ha due pagine zeppe di desiderata. La prima riguarda senz’altro il sostegno attivo alla manifattura: anche attraverso l’Education 4.0 e in particolare e beneficio della competitività esterna delle 20mila imprese del Core Made in Italy. Sicuramente una seconda linea di politica economica invocata da tutti riguarda le infrastrutture – quelle pesanti (che fanno lavorare le imprese) e quelle digitali che ne favoriscono le strategie. Il tutto in chiave green, secondo la nuova parola d’ordine europea. “Emetteremo green bond” ha preannunciato il nuovo titolare del Mef, Roberto Gualtieri. Debito che dovrebbe finanziare progetti di sostenibilità ambientale e per questo potrebbe sforare i parametri di Maastricht. Ma anche su questo la manovra deve ancora affrontare gli esami.


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