La crisi politica spagnola iniziata quattro anni fa ha aumentato la polarizzazione e il voto in difesa di interessi particolaristici. Nel 2011, prima che la formazione di maggioranze stabili si complicasse, gli spagnoli appoggiavano prevalentemente le due formazioni che coincidevano con la difesa della Costituzione. Lo spazio del centro era quasi tutto occupato. Nel 2015, nonostante l’emergere dei nuovi partiti, la rottura del bipartitismo e il rafforzarsi di una formazione di sinistra come Podemos, ancora il 65% degli spagnoli optava per il centro. I risultati delle elezioni dello scorso 10 novembre mostrano una centrifugazione delle posizioni. Nonostante la caduta di Podemos, solo la metà degli elettori (54%) opta per formazioni chiaramente costituzionali. La crescita di Vox a destra arriva al 15% e l’ascesa delle formazioni indipendentiste/nazionaliste basche e catalane ha fatto il resto. Il sistema elettorale, e in particolare la struttura dei collegi elettorali, ha dato un peso rilevante ai partiti regionalisti creati per la difesa degli interessi di piccoli territori.

Le cause della radicalizzazione sono molteplici: hanno a che fare in una prima fase con la crisi economica e in un secondo momento con il tentativo di secessione della Catalogna. A ciò dobbiamo aggiungere il tatticismo e l’autismo dei partiti costituzionali, impegnati a governare o a guidare l’opposizione a qualsiasi costo. Non c’è mai stata connessione con la società civile. Le élite politiche hanno portato avanti la loro agenda che ha accelerato la forza centrifuga.

Il governo che il Psoe cerca di formare con Podemos, dopo le elezioni di domenica scorsa, è in attesa di sapere se ci sarà l’astensione dell’indipendentismo. È difficile fare previsioni. Ma è prevedibile che i partiti secessionisti porteranno le loro richieste a un tavolo di negoziazione parallelo al Congresso, il che implicherebbe un’espropriazione delle regole di rappresentanza della sovranità nazionale. Molto probabilmente i socialisti faranno un passo verso gli indipendentisti così da dar vita a un Esecutivo chiaramente sbilanciato a sinistra. Paradossalmente, quindi, Podemos, che ha ottenuto meno del 13% dei voti, finirà per caratterizzare la linea del Governo. Ciò presumibilmente farà crescere la destra di Vox, che ora è al 15%. È facile prevedere che il processo di centrifugazione accelererà. Specialmente se verranno fatte concessioni all’indipendentismo non sufficientemente concordate con i partiti di centro.

In campo economico è prevedibile un aumento considerevole della spesa pubblica per le pensioni e in alcune politiche sociali settoriali (di dubbia efficacia), nonché aumenti delle tasse, inosservanza dell’obiettivo di riduzione del deficit (previsto al 2,2% del Pil nel 2020), aumento dei costi di assunzione, irrigidimento del mercato del lavoro e statalismo. Aumenteranno le tensioni con Bruxelles. Ma il problema non sarà l’aumento della spesa in quanto tale, bensì il fatto che non sarà destinato a una modernizzazione del tessuto produttivo.

Il nuovo Governo prevedibilmente intensificherà, nella sfera sociale, le politiche di rottura. E in questo campo non sarà tanto significativa la depenalizzazione dell’eutanasia, che trova il consenso della maggioranza degli elettori. Più rilevanti saranno le riforme per accentuare le politiche di memoria storica, di nazionalizzazione dell’istruzione e di rafforzamento di un femminismo che può provocare la reazione dell’altro estremo. In questi primi giorni abbiamo già visto la ministra dell’Istruzione negare la natura costituzionale della libertà di scegliere la scuola per i propri figli.

Ci saranno senza dubbio questioni limite legate alla libertà che richiederanno una presa di posizione chiaramente opposta, ma forse in questo momento il più grande contributo che può essere dato alla vita pubblica spagnola è aprire dibattiti e mettere in atto nel mezzo della vita pubblica esperienze che superino la contrapposizione. In questo senso, la nuova legislatura rappresenta un’opportunità. Fino a pochi anni fa, la maggioranza della società era concorde su alcuni valori costituzionali che si davano per scontati. La mancanza di una riflessione critica e di connessione tra esperienze al di fuori della politica e con la politica dei partiti ha finito per trasformare quegli stessi riferimenti in statue da museo. I prossimi mesi o anni possono essere molto interessanti se compariranno attori sociali con intelligenza e creatività sufficienti a evitare di farsi trascinare dalle forze della contrapposizione. Abbiamo già visto il risultato che una risposta reattiva ha prodotto nel 2004. Dedicare energia ad aprire spazi in cui si offrano soluzioni per le sfide reali esistenti nel mondo del lavoro (digitalizzazione, miglioramento della formazione, collaborazione tra Pmi), dell’istruzione (sviluppo di una formazione professionale vicina all’impresa, riduzione dell’insuccesso scolastico), dell’immigrazione (integrazione, occupabilità) o della coesione territoriale è più responsabile che cercare di fermare le forze disgregatrici. Le risposte ideologiche sono strumentalizzate dal potere. Gli spazi di libertà, dove i diversi costruiscono insieme, recuperano l’abitabilità di un Paese.