Immaginiamo di vivere in uno Stato ricco ed efficiente, che attraverso sistemi di protezione sociale ben organizzati e capillari riesca a far arrivare somme di denaro per coprire i bisogni essenziali delle persone indigenti. Un anonimo assistente sociale verifica i requisiti e dà disposizione perché il povero riceva quanto gli serve. Che cosa manca?
Non sarà difficile scoprirlo sabato 30 novembre andando in uno dei tanti supermercati che aderiscono alla Giornata Nazionale della Colletta del Banco Alimentare, quando milioni di italiani di tutte le classi sociali, convinzioni politiche, etnie, età decideranno di acquistare prodotti alimentari da destinare a chi ne ha più bisogno.
Qual è in fondo la differenza tra assistenzialismo di Stato e solidarietà tra cittadini? Innanzitutto l’idea che ho di me. Per povero che possa essere, per quanto insignificante mi possa sentire all’interno della società, posso aiutare qualcuno, contribuire a rendergli migliore l’esistenza, dargli una mano a superare giornate difficili. Un senso di se stessi diverso, in fondo, è quello che potrà insinuarsi in questa giornata popolare di educazione alla solidarietà.
C’è un esempio che ne parla, rimasto nella memoria di tanti. Era l’agosto 2005, l’uragano Katrina invadeva il Golfo del Messico e devastava in particolare la Lousiana e New Orleans. A più di 13.000 chilometri di distanza, in uno degli slum poveri di Kampala, un gruppo di donne ugandesi, poverissime e malate, colpite dalla sofferenza degli alluvionati americani, aumentano i turni di lavoro nella cava in cui spaccano pietre e raccolgono duemila dollari da mandare oltreoceano. Quando viene fatto notare che ne hanno più bisogno loro e quindi non è giusto mandarli negli Usa, le donne si ribellano. Questo è ciò che scriveranno: “Il cuore dell’uomo è internazionale, non ha razza, non ha colore e si commuove alle necessità degli altri. Anche le persone in America ci appartengono e noi apparteniamo a loro, perché non si appartiene né alle cose, né al lavoro”.
Il 30 novembre ha però anche un altro valore. Potrà capitare non solo di dire “io” in modo diverso, ma anche di scoprire di essere “noi”. Nessuna organizzazione, nessun filantropo, infatti, potrebbe sostituire quell’unità di popolo che si formerà quel giorno: tante persone accomunate nel cuore, prima che nel gesto, da un unico slancio. È quello che si riscopre, ad esempio, quando il Paese è colpito da calamità: succede di vedere che c’è un mare di carità, di desiderio buono, e che la nostra “goccia” ha senso perché riverbera una forza più grande di quella personale ed è per questo unita alle tante altre “gocce”.
Nel giorno della Colletta non si donerà la spesa direttamente ai poveri, tutto ciò che verrà donato sarà raccolto dai volontari del Banco e, in un secondo momento, verrà portato a più di 7.500 enti, di ogni colore e ispirazione che si prendono cura delle persone bisognose, che sono in tutto circa 1.500.000.
Mense, associazioni che accolgono bambini e famiglie in difficoltà, Caritas, San Vincenzo, Banchi di Solidarietà. Dare del cibo diventa così un fondamentale strumento anche perché chi è in difficoltà ritrovi speranza, vigore, fiducia in sé stesso, voglia di tornare a costruire. Il mare di carità diventa un oceano e il gesto di chi partecipa alla Colletta diventa un abbraccio virtuale a tutto questo movimento positivo che si si fa strada tra tanto male.
In fondo, la Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, come voleva don Luigi Giussani, è un grande gesto popolare di educazione alla carità. Perché, mentre si farà tutto il possibile per sconfiggere la povertà, per migliorare la vita del nostro prossimo (quanto costerebbe allo Stato intervenire per così tante persone?) si comprenderà che “la carità è sempre necessaria, anche nella società più giusta”, come disse Benedetto XVI, perché il nostro bisogno di esseri umani è infinito. E infatti poco dopo la Colletta arriva il Natale…