Via, un “non rompete i c…” di Grillo non ci desta meraviglia, avvezzi come siamo al turpiloquente, litigioso e arrogante linguaggio pubblico in voga. Non rompete, il garante al suo stato maggiore (!), o digerite l’apologo di Menenio Agrippa o vaffa anche voi. Antesignano di queste vie spicce fu Umberto Bossi che venti-trent’anni fa decretava l’espulsione di non-allineati e sgraditi con un “foeura di ball” dal pratone di Pontida.
Una volta non era così. Combinazione, proprio il 24 novembre 1969, cinquant’anni fa come ieri, il gruppo del Manifesto veniva radiato dal Pci di Luigi Longo. Lo fece non con un vaffa o un foeura, ma con una relazione di Alessandro Natta, approvata dal Comitato centrale del Pci, pubblicata dall’Unità del 26. Un’intera pagina del giornale, nove colonne di piombo con pochi intertitoli piccoli e nessuna foto, stile Pravda, a occhio qualcosa come 30mila battute (equivalenti a 200 e passa tweet attuali) di argomentazioni. Di argomentazioni: nel quadro ideologico del comunismo di allora, ma argomentazioni. Certo, si fa prima, e si fa meno fatica, a dire foeura di ball o non rompete. Il che è è però indizio non di una politica nuova, ma di un’inesistenza della politica. Essa infatti deve dare le ragioni. Deve esprimere un impegno con la realtà. Se no non esiste.
Siamo arrivati a questo degrado non a caso. Mettiamoci anni del nostro bipolarismo mirato non ad alternarsi con l’avversario ma a demonizzarlo e distruggerlo; le paure della globalizzazione e della crisi economica; la rabbia indirizzata contro la classe politica e il tentativo di una “nuova” politica che anziché cercare di ridurre le cause della rabbia con risposte reali ha scelto di intercettare la rabbia per metterla velocemente a reddito, cioè per mietere consensi e scalare il potere. Il linguaggio riflette gli esiti di questa deriva e suona un campanello d’allarme. Certo il vecchio politichese era incomprensibile e scavava un fossato tra il palazzo e la gente. Ma se dovessi, costretto con le spalle al muro, scegliere tra “convergenze parallele” di morotea memoria e “vaffanculo” di pentastellato conio, della mia scelta sarei sicuro.
Il punto è probabilmente questo: che il linguaggio crudo, violento, rabbioso, sbrigativo (agevolato e favorito dalla struttura espressiva di social, messaggini ed emoticon) è il linguaggio della non conoscenza. Cioè del disimpegno dalla realtà, o di un impegno parziale distorto e strumentale. L’ideologia dominante dagli anni 90 ha imposto il primato del volontarismo, dell’etica (astratta) sul valore della conoscenza e dell’impegno-risposta (reale). Una scissione tra il credo (la fede, l’obiettivo) e il conoscere (l’impegno obbediente alla realtà).
Di questa divaricazione (che accade peraltro anche nella Chiesa) si nutre l’errore denunciato da Edgar Morin, tra i più grandi pensatori europei viventi, nel suo Insegnare a vivere: “Ho compreso che una fonte di errori e di illusioni è occultare i fatti che ci disturbano, anestetizzarli ed eliminarli dalla nostra mente”: Vaffa. Non rompete. Eccetera. Ecco, fare i conti con la realtà, conoscerla, è fare i conti con i fatti che ci disturbano.
Una (ri)educazione politica anti-vaffa dovrebbe richiedere:
1. un’attenzione umile all’oggetto, per cercare risposte adeguate ai problemi che suscitano rabbia e non cavalcare la rabbia;
2. un’esplicita e dichiarata considerazione della complessità delle questioni da affrontare. Ancora Morin avverte che l’errore non è solo per ignoranza o dogmatismo, ma è “l’errore di un pensiero parziale, del pensiero binario che vede solo o/o, incapace di combinare e/e, nonché l’errore del pensiero riduttore e del pensiero disgiuntivo ciechi ad ogni complessità”. Il pensiero del litigio;
3. un interesse vero, vorrei dire un ultima simpatia, per il pensiero dell’altro, perché anche l’antagonista può suggerire un bene per me e per tutti;
4. una conseguente autolimitazione della presunzione e dell’arroganza della politica, che non può venire a dirci dalla sera alla mattina che l’Italia è cambiata, la povertà cancellata e altre disgustose consimili amenità. Una politica che guardi non alla rabbia ma alle buone risorse ed esperienze del popolo, che non pensi di creare il mondo nuovo ma “rimuova gli ostacoli alla piena realizzazione della personalità umana”, come recita la nostra Costituzione e come ha sottolineato pochi giorni fa un politico antagonista di lungo corso come Fausto Bertinotti. Che guardi per esempio, per conoscere l’Italia, alla Colletta alimentare.