Sono i giorni e gli anni di un declino che sembra quasi irreversibile. Alitalia, a quanto si dice, non è possibile salvarla; il destino dell’Ilva è un’incognita e comunque la vita di questa importante azienda sarà garantita dopo grandi sacrifici; il Pil da 10 anni, dopo il crollo del 2008 non è aumentato come si sperava. Il problema non è solo di macroeconomia. Le persone, soprattutto i giovani e le famiglie, si rendono conto di questa situazione di difficoltà nel trovare lavoro, nell’arrivare alla fine del mese, nell’osservare il peggioramento dei servizi sociali, dovuto sia alle inefficienze dell’amministrazione statale, sia alla diminuzione della spesa pubblica destinata a questi scopi.
Di fronte a tale situazione sono emersi solo movimenti contestatari basati sull’insulto di tutti e tutto. Invece che una nuova fase di pace, di progresso, di sviluppo è cominciato un periodo caratterizzato da una classe dirigente, ignorante e presuntuosa, che propone assistenzialismo imbarazzante e uso delle risorse senza progetto e senza visione. Il risultato è una incapacità radicale nel concepire uno sviluppo economico e sociale adatto al nuovo mondo e ai grandi cambiamenti epocali.
Sembra di essere al centro di uno tsunami devastante e si ha la sensazione di trovarsi con le mani nude a scavare tra le macerie per rimettere a posto le cose.
Per guardare al futuro e stendere piani di sviluppo non servono nuovi modi per sfuggire dai problemi, occorre invece indagare ancora più a fondo la realtà e imparare dai fatti concreti. Per comprendere che quello che vale può diventare un metodo da seguire non si può prescindere dall’identità di un territorio, dalla sua specifica vocazione imprenditoriale, produttiva e sociale.
Per imparare che cosa voglia dire la solidarietà per tutti, si può guardare che cosa succede durante la Giornata della Colletta alimentare; per capire che cosa voglia dire attuare un’economia sostenibile è utile guardare la Chimar di Carpi, che ha attuato molti degli obiettivi della sostenibilità migliorando addirittura i risultati economici. Infine, per comprendere se la nostra economia può avere ancora un futuro, è fondamentale guardare con attenzione alcune Fiere come quella delle macchine utensili dell’Ucimu, il Salone del mobile e l’Artigiano in fiera a Milano.
C’è chi sostiene che il futuro dello sviluppo economico è legato a grandi imprese e a grandi concentrazioni collegate con la finanza. Peccato che questa considerazione, legata alla svolta neoliberista degli anni Ottanta del Novecento, abbia portato alla crisi del 2008 che si è rivelata la più devastante nella storia recente dopo quella del 1929.
Intanto si può constatare che l’Italia, che pure non riesce a rilanciarsi, è leader nella macchina utensile commissionata su misura dal cliente, oppure che il mobile italiano sbaraglia ogni competitor a livello mondiale.
Soffermandosi sull’Artigiano in fiera viene spontaneo chiedersi perché un milione e mezzo di persone comprano prodotti da piccole aziende, anche tecnologicamente avanzate, ma che comunque dimostrano che la ricerca del bello e della creatività è in grado di far crescere economicamente un’impresa.
È per questo che aggirandosi per i padiglioni della Fiera di Milano si può fare qualcosa in più che comprare i regali di Natale. Si può capire perché in fondo ha torto chi continua a pontificare sui quotidiani che l’unica speranza per l’economia italiana sia la nascita, non si sa come, di tante grandi imprese internazionali (non importa se poi vanno a pagare le tasse in Olanda).
È fondamentale andare a constatare in Fiera che non tutto quel 95% del Pil nazionale, prodotto da piccole e media imprese, sia vecchio e ammalato. Mettendosi insieme, facendosi conoscere, accettando il cambiamento continuo si produce, si cresce, si occupa, si innova, si vende e si esporta.