La sanità della Campania – dopo 10 lunghissimi anni – è uscita del regime di commissariamento. È una notizia che, se commisurata al suo valore economico e sociale, dovrebbe stare sulle prime pagine di tutti i giornali. La sanità pubblica campana gestisce ogni anno 10,35 miliardi di euro, dà lavoro direttamente a 45mila persone e muove i fatturati di piccole e grandi aziende private. Sono milioni le prestazioni fornite ai cittadini della terza Regione d’Italia. Stiamo parlando di tre Ilva messe insieme.

Al commissariamento la Campania ci era arrivata nel lontano 2007, governatore era Antonio Bassolino mentre a Roma il governo Prodi, e la ministra della salute, Livia Turco, si dibattevano tra nuove normative europee e un debito sanitario mostruoso (Campania e Lazio insieme ne avevano accumulato oltre 22 miliardi).

Sotto il peso di questo debito enorme, una spesa corrente fuori controllo, una marea di creditori pronti a prendere d’assalto le casse della Regione, per la prima volta in Italia si congelarono i pignoramenti e si avviò un’enorme operazione di cartolarizzazione del debito. Nacque così Soresa, la società regionale a cui furono demandate transazioni per oltre 3 miliardi di euro. Ma soprattutto si tolse agli amministratori di Asl e ospedali ogni reale autonomia e si ridussero gli uffici regionali a semplici passacarte.

Sono anni, come si dice spesso, di lacrime e sangue. Così gli ospedali sono decaduti senza manutenzione, non si è proceduto con le assunzioni e il personale è cominciato a mancare. In dieci anni si è passati da 56.410 addetti agli attuali 43.001. Non ci sono più né i soldi per rinnovare la complessa macchina tecnologica che muove un ospedale né le condizioni per attrarre investimenti privati, come invece sta accadendo in altre parti del Paese. 

Le conseguenze oggi sono sotto gli occhi di tutti: la sanità campana è salva ma è ridotta ad un campo di battaglia, macerie ovunque, e quello che funziona è tenuto in piedi grazie allo sforzo di tanti lavoratori che un po’ per fede e un po’ per difendere il loro lavoro si sono tenuti ben stretto quello che passava il convento.

Quello che passava il convento però non andava più bene ad una buona fetta della popolazione, che ha incominciato a farsi curare nei migliori ospedali fuori Regione. Solo per le cure dei campani in Lombardia la Regione stacca ogni anno un assegno di oltre 230 milioni. Soldi sottratti alla sanità regionale e agli altri cittadini meno fortunati.

Il commissariamento ha funzionato come un gigantesco concordato preventivo. Forse la procedura fallimentare più importante di questi anni, vista la dimensione del debito. Stiamo parlando di circa 10 miliardi, così suddivisi: 6,9 miliardi maturati dalle gestioni in deficit fino al 2008, a cui sono stati aggiunti circa 3,2 miliardi prodotti dai disavanzi maturati dal 2009 al 2013, primo anno in cui la sanità campana raggiunge il pareggio di bilancio. I primi 6,9 miliardi sono stati pagati con un’operazione straordinaria a cui hanno partecipato tutti, il Mef ma anche le altre Regioni del Nord, con un contributo di circa 1.289 milioni; gli altri 3,2 invece sono stati restituiti interamente dai cittadini campani. I tagli e i sacrifici hanno consentito di pagare fino all’ultimo creditore. Al massimo si è fatta qualche transazione per risparmiare spese legali ed interessi. Un risparmio non da poco, visto che ammonta a circa 250 milioni l’anno.

Oggi la Campania ha un rating di tutto rispetto ed è proprio di ieri la notizia che l’agenzia S&P Global ha assegnato alla Regione addirittura un “outlook” positivo, per aver dimostrato “di saper tenere la spesa sotto controllo”. Da quest’anno i cittadini potranno pagare meno tasse (-0,50 di Irpef e -0,92 di Irap), un risparmio di circa 380 milioni.

Parliamo spesso di tante eccellenze, guardiamo con occhi languidi una mozzarella o una pizza fatta con lievito madre, ci emozioniamo per il lavoro di un piccolo artigiano e ci piace riempire le pagine dei nostri giornali su come le eccellenze salveranno il nostro Sud. E non dedichiamo un solo rigo alla fine del commissariamento in sanità. Sarà perché De Luca risulta inviso a molti commentatori, sarà perché le notizie positive non piacciono, ma davvero si fa fatica a capire come sia possibile non riconoscere l’enorme risultato ottenuto dagli amministratori e dai cittadini campani.

Intanto a chi ha governato in questi anni va riconosciuta la serietà e la credibilità per aver mantenuto gli impegni. Vi pare poco? Vi è altro di più importante in questo mondo di oggi dove si fatica a far rispettare un banale contratto tra privati? Già questo è sufficiente a collocare la Regione Campania tra quei luoghi dove la finanza internazionale – quella vera non a “chiacchiere”, direbbe De Luca – potrebbe a ragione prenderla in considerazione come un posto sicuro dove investire i propri soldi.

Io spero che la Campania sappia cogliere questa enorme opportunità e che non ricada – ora che la situazione ritorna ad essere “normale” – negli errori di sempre: gestione allegra, spendacciona, approssimativa, senza fare progetti e senza rivolgere lo sguardo al futuro.

Abbiamo un’opportunità storica, ricostruire daccapo la sanità, gli ospedali, riorganizzare l’esercito di medici e addetti. Una mole di lavoro enorme, entusiasmante. Dedicarsi a questo vale l’impegno di una intera generazione.

L’altro giorno a Firenze durante il Forum Risk Management, l’evento più importante per la Sanità in Italia, l’architetto Tiziano Binini ha svelato lo straordinario progetto del nuovo Galeazzi che sta sorgendo, sotto la sua direzione, a tempo di record nell’area dell’ex Expo per iniziativa del gruppo San Donato. Un ospedale “verticale”, 16 piani per 180mila metri quadri, di nuovissima generazione, con ogni bendidio, diremmo oggi un Ospedale 4.0.

Mi sono chiesto se una cosa del genere potrà mai vedere la luce a Napoli. Mi sono risposto di sì, ma ad alcune condizioni: avere il coraggio di abbattere e ricostruire, di trovare la forza di imporre alla pubblica amministrazione di stabilire un rapporto virtuoso con il privato, di ricercare le tecnologie più nuove e sofisticate, di riportare a Napoli e in Campania le migliaia di giovani scappati via in questi anni e di attirare e formare i giovani futuri medici di tutto il Mediterraneo.

Insomma, proviamo a trasformare la più dura e umiliante prova che abbiamo dovuto subire in un’occasione di rinascita, facendo delle nostre terre non luoghi solo belli da visitare e guardare, ma posti dove si può vivere felici, lavorare, curarsi e migliorare la qualità della propria vita.