“Il punto non è quanto e come il pacchetto Transizione 4.0 approvato nella manovra dia continuità agli incentivi per la digitalizzazione industriale. Il punto è se chi governa il Paese crede o no nella manifattura nazionale”.

Massimo Carboniero, presidente dell’Ucimu, commenta il consuntivo di fine anno del settore delle macchine utensili: senza molte luci (il valore della produzione registra una frenata del 4,9% a 6,44 miliardi, con cedimenti sia sul mercato interno che sul fronte export) ma senza ancora ombre veramente preoccupanti (le previsioni per il 2020 non mettono per ora in discussione i livelli di business as usual già riconquistati nel 2016-17). Però ai vertici del settore che progetta e costruisce i “sistemi per produrre” per tutti gli altri settori industriali dell’Azienda-Italia l’umore è pensoso. E il leader Ucimu non ha esitazioni a spiegare il perché. “Ho avuto modo di parlarne anche con il ministro Patuanelli”, dice Carboniero. “Siamo soddisfatti che il governo abbia confermato le grandi linee d’intervento e le cifre-chiave del piano Impresa 4.0: allungando per la prima volta l’arco di impegno per un triennio. Però dai governi Renzi e Gentiloni era venuta un’attenzione diversa per la seconda manifattura nazionale, che resta la seconda d’Europa. Nel dibattito pubblico, soprattutto, non emerge come priorità la volontà di favorire chi investe nell’industria, cioè nel motore della ripresa e dell’occupazione. Non sembra esserci vera sensibilità per”.



È una direzione nella quale è necessario accelerare, non rallentare. L’anno prossimo Ucimu aggiornerà la fotografia sull’età del parco-macchine dell’industria italiana. “Abbiamo deciso di dimezzare la scadenza della survey, che era decennale. Ci è parso un buon modo per contribuire a stimolare quel 50% di aziende che secondo le stime non si sono ancora lasciate coinvolgere da Impresa 4.0”.



Fin qui gli imprenditori della meccatronica, reduci dalla seconda missione-Paese in Cina. Ma fra plastic e sugar, fra web e car – solo per citare le sigle di altrettante nuove tasse “industriali” – quanti settori hanno attraversato le settimane autunnali senza essere toccate anche solo dall’incertezza degli “ordini e contrordini” fra ministeri?

L’emergenza-manifattura non è solo – e probabilmente neppure in via preponderante – una questione di “taglio delle tasse” (certo la questione si pone da sé quando la pressione fiscale sui produttori tende addirittura ad aumentare). Nella misura in cui le risorse sul tavolo sono limitate, diventano d’altronde più importanti quelle intangibili: i valori creati da una governance della politica economica razionale, responsabile, pragmatica, credibile anche in sede Ue (era in questa chiave, ad esempio, che Ucimu aveva proposto di concentrare gli sforzi di Impresa 4.0 sul superammortamento: strumento semplice, di alto impatto e di successo verificato in tutta l’Azienda-Paese).



I modi confusi con cui la legge di stabilità 2020 giunge in Gazzetta Ufficiale – lo ha notato anche un costituzionalista come Sabino Cassese – tolgono smalto perfino ai suoi tentativi di coniugare politica industriale con politica del lavoro: come l’avvio dell’abbattimento del cuneo fiscale in azienda. E questo avviene quando le ragioni della produzione del reddito vengono sistematicamente posposte a quelle della sua distribuzione. Che il sistema-Paese non se ne accorga è davvero un’emergenza.