Senza più politica

La questione del governo del Paese è un argomento degno di scommesse e dei bookmakers londinesi. La parola d'ordine è ormai “salvo intese”. Ma con quelle non si fa da nessuna parte

La questione del governo del Paese è un argomento degno di scommesse e dei bookmakers londinesi. La parola d’ordine, la chiave di ogni documento, è ormai “salvo intese”, tanto che un giornale politicamente ancora scorretto come il Manifesto, alla vigilia di Natale, ha fatto il titolo migliore e più calzante: “Governo, anche la crisi è salvo intese”.

A vedere le facce di quella che dovrebbe essere la classe dirigente italiana, soprattutto quella politica, non si vede un’allegria sfrenata. Solo “Giuseppi” Conte appare pieno di speranze e di fiducia. È diventato l’emblema vivente di quello che gli inglesi definiscono “wishful thinking”, vale a dire un pensiero speranzoso o un pensiero illusorio, o meglio ancora: Conte ci crede così tanto che alla fine ci spera.

Secondo la politologia classica, neoclassica e moderna, di destra o di sinistra, il “wishful thinking” è uno dei più catastrofici errori che si possano fare. Si pensa che anche gli antipolitici siano sulla stessa linea di giudizio.

Ma Giuseppi, in fondo, va compreso. Aveva detto quando era “Conte 1” e governava con la Lega che “il 2019 sarebbe stato un anno bellissimo”. Adesso che presiede il Conte 2, ed è alleato con il Pd, ha stabilito un cronoprogramma che risolleverà e rilancerà l’Italia. Non si comprende bene se “lo è o ci fa”, ma certamente merita il titolo del miglior acrobata politico dell’anno. In fondo però, Conte ha veramente vissuto un anno bellissimo: quando mai poteva immaginare di diventare premier e di insediarsi a Palazzo Chigi? Solo la roulette politica italiana poteva riservare una simile sorpresa.

Per lui si sono scomodati paragoni inadatti con i protagonisti della storia del trasformismo italiano, ma lui è un fuori quota o un fuoriclasse, quello che un tempo nei bar della periferia di Milano chiamavano “un checco”, che riesce a navigare sotto tutte le bandiere.

È ormai lampante che l’avvocato foggiano abbia compreso la volontà quasi generale esistente nella maggioranza di non andare a votare, per cui “Conte 2” talvolta si frega le mani compiaciuto. Ma la rissa continua su ogni provvedimento e su ogni scelta politica, l’incertezza che regna sovrana, il famoso “salvo intese” che è il nuovo timbro dei documenti potrebbero diventare a gennaio, anche se predomina il panico elettorale, un pandemonio che trasforma il Parlamento in maggioranze continuamente diverse su singole votazioni importanti. A quel punto si aprono le scommesse, facendo di questo esecutivo proprio un “governo della scommessa” talvolta azzardata.

Nel primo mese del 2020 ci sono già in agguato una serie di ostacoli: un altro dei famosi vertici di maggioranza, di cui si è perso il conto complessivo. Ma c’è soprattutto il nodo della prescrizione e la riforma della giustizia, seguita a ruota dal problema della concessione di Autostrade e naturalmente di alcuni capitoli della finanziaria. Tutte bazzecole, in fondo, a confronto della scadenza elettorale regionale dell’Emilia-Romagna, dove i sondaggi sono incertissimi, stabilendo un margine molto esiguo tra i due candidati favoriti, i quali (entrambi) pregano continuamente, facendo pure gli scongiuri, che un Cazzullo o un Severgnini non dichiarino la loro preferenza per l’uno e per l’altro dopo l’exploit catastrofico nelle elezioni britanniche, dove il “popolo ci aveva ripensato” e il “remain regnava sovrano”.

I cosiddetti analisti politici italiani sono come gli economisti del laissez-faire per John Maynard Keynes: prima fanno le previsioni poi le analisi di realtà (Laissez-faire e comunismo pubblicato negli anni Venti del Novecento sulla rivista americana The New Republic fondata e diretta da Walter Lippmann).

A questo punto l’Italia si trova di fronte a problemi di logoramento istituzionale e di vertenze sindacali gravissime; il paese è letteralmente privo di ogni politica economica, sia la sedicente destra sia la cosiddetta sinistra hanno completamente abbandonato la politica economica e la politica industriale. Qualsiasi riferimento, ad esempio, al ritorno di una economia mista (il miglior periodo che l’Italia abbia economicamente vissuto) viene bollato duramente, quasi con disprezzo.

In fondo il “nuovismo” che ha portato all’austerità dopo l’inevitabile crisi del 2008, all’ossessione del debito, al ruolo della finanza e quindi dello spread, è un nuovismo che (ricordando ancora Keynes e anche tanti altri economisti che in Italia non si traducono e vengono poco considerati) ha riportato l’economia alla famosa tesi del marchese d’Argenson, che spiegava nel 1751: “Per governare meglio, bisogna governare meno”. Insomma un nuovismo un po’ datato.

D’Argenson era un autentico “principe della catastrofe”, la cui dottrina è oggi difesa, non si sa se consapevolmente o meno, a spada tratta da tutti i liberisti e dai benpensanti di ogni visione politica, anche quelle sopravvissute.

Il gennaio italiano dovrà quindi affrontare una sorta di resa dei conti. Senza dubbio ci sarà la proposta del rinvio “salvo intese”, ed è probabile che risulti vincente. Ma tuttavia esiste sempre per l’Italia, anche con il rinvio programmato, il rischio di una crisi che mescola il logoramento istituzionale, la dinamica da casinò del sistema finanziario e la decrescita infelice. Un intreccio inquietante. Forse “Conte 2”, tra un brindisi e l’altro di questo anno “bellissimo per lui”, dovrebbe scorrere, non leggere (sarebbe pretendere troppo) il rapporto del Censis. È solo un’analisi della società italiana dei nostri giorni, ma mette paura. A volte anche i favoriti fanno perdere le scommesse.

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