“In Italia serve più Stato”. Ha avuto certamente il merito della concisione il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. E può essere soltanto un dettaglio curioso che si sia conquistato la prima pagina di un quotidiano appena acquisito dalla famiglia Agnelli: la più importante dinastia del capitalismo privato italiano. Sicuramente il proclama neo-statalista di Gualtieri pone almeno due questioni di primo e pari livello.
La prima questione attiene allo stato dei conti. L’Italia è il secondo Paese più indebitato dell’eurozona dopo la Grecia, molto al di sopra della media Ue. Per questa ragione la scorsa primavera è incorsa in una procedura d’infrazione senza precedenti da parte della commissione Ue: poi ritirata – ma non definitivamente cancellata – quando già si profilava il rovesciamento della maggioranza di governo. Ma continua a piangere anche la parte corrente del bilancio italiano, come ha confermato la manovra appena approvata (e nella quale la clausola di salvaguardia Iva è stata neutralizzata per un solo un anno). Dove lo Stato italiano possa trovare risorse per ri-nazionalizzare Ilva o Alitalia, Autostrade, o Popolare di Bari non è davvero dato capire. Parrebbe più’ razionale e raccomandabile riprendere – per quanto possibile – le privatizzazioni, come annunciato da tutti gli immediati predecessori di Gualtieri: dal tecnico Vittorio Grilli (che aveva messo nero su bianco 100 miliardi di dismissioni) al collega “dem” Pier Carlo Padoan, che si era impegnato a collocare una seconda tranche di Poste e una prima di Fs.
Il Mef sembra invece intenzionato a usare la Cassa depositi e prestiti come leva strategica ripubblicizzatoria, lasciando correre la suggestione di una “nuova Iri”. Premesso che la “vecchia Iri” – pilotata nell’ultimo decennio da Romano Prodi – ha concluso in sostanziale dissesto la sua parabola sessantennale, la Cdp è sì un’istituzione controllata dal Tesoro, ma intermedia risparmio privato: principalmente gli oltre 300 miliardi di depositi postali di molte decine di milioni di famiglie Italiane (soprattutto le meno abbienti).
Le risorse della Cdp non sono “statali”: sono suoi debiti bancari verso privati cittadini. Equipararle a prelievo fiscale da cittadini contribuenti è scorretto e rischioso: soprattutto nei giorni che registrano un ennesimo fallimento bancario legato anche alla cattiva allocazione di credito presso imprese che non lo meritavano. Nonostante lo sviluppo del suo gruppo, la Cdp non sembra – almeno al momento – attrezzata per operare come banca universale, assumendo importanti partecipazioni dirette diverse da quelle (solide), parcheggiate dal Tesoro stesso, come Eni, Enel, Poste, Terna. Gli investimenti in gruppi “distressed” restano vietati dallo statuto della Cassa e su di essi c’è’ il veto dalle Fondazioni bancarie azioniste al 15%.
Sulla possibile svolta rinazionalizzatoria pesano interrogativi politici non meno rilevanti. Che in Gran Bretagna il Labour abbia appena regalato così una storica vittoria al Tory brexiter Boris Johnson può riguardare in apparenza solo la strategia elettorale di M5S e Pd. Ma quanto autenticamente “europeista” e “antisovranista” apparirebbe ora a Bruxelles l’Italia giallorossa del Conte-2? Gualtieri (giunto al Tesoro direttamente da Strasburgo) sembra invece voler intensificare il neo-assistenzialismo inaugurato da reddito di cittadinanza e quota 100, su cui l’Ue sembra aver chiuso gli occhi ma per una volta sola.
Su un piano politicamente più alto la questione è anche più impegnativa. Annunciare “più’ Stato” significa dichiarare chiusa la lunga stagione delle privatizzazioni, liberalizzazioni e internazionalizzazione dell’Azienda Italia concepita e condotta fin dagli anni ‘90 da Carlo Azeglio Ciampi e Prodi – con Mario Draghi in cabina di regia – per meritare all’Italia l’ingresso nell’euro. È stata una “lunga marcia”, quella verso l’affermazione dell’imprenditorialità privata nella competizione di mercato, che non ha riguardato solo l’economia che un tempo era di Stato (e magari un po’ lo è ancora). Il lascito socioeconomico di quella transizione è forse anzi più visibile nei ventimila campioni globali del Made in Italy che nelle ex partecipazioni statali (banche comprese). Gualtieri sta forse ritirando la fiducia a questa Italia? E com’è possibile che – in questi stessi giorni – stia prendendo più forza la prospettiva di un ritorno in Italia di Mario Draghi?