Senza particolare clamore, come è nello stile del Sussidiario, circa un anno fa questo giornale ha deciso di aprire una finestra importante sul Sud.

Così da un’idea di Giorgio Vittadini, fuori dal campo dei tradizionali lettori del giornale, e anche un po’ più in la del consueto “côté” di relazioni che ruotano intorno al movimento, è nata un’esemplare storia di incontro. È iniziato un fitto dialogo tra aree geografiche molto distanti (Milano-Napoli) e tra culture politiche spesso diverse, con un approccio molto concreto e propositivo. Si è scelto di dialogare con il Sud che produce, che si alza tutte le mattine con la voglia di provarci, che non dimentica il proprio passato ma che preferisce scoprire cosa gli riserva il futuro.

Intanto è stato necessario individuare un gruppo di amici volenterosi. Questo manipolo di giovanotti, tutti intorno ai 40 anni, ha contribuito anche economicamente sottoscrivendo azioni del giornale. Visto che la lunga storia del Sussidiario è quella di un giornale che si mantiene da solo, non ha goduto e non gode di finanziamenti pubblici. Sembra strano dirlo proprio in questi giorni, quando altri si lamentano di perdere i contributi che li mantengono in vita. Può sembrare una vanteria, può apparire una piccola manifestazione di orgoglio, ma è soprattutto la ragione che sostiene l’autonomia del giornale e la libertà con cui la redazione decide ogni giorno come raccontare quello che accade intorno.

Poi il giornale ha cominciato, sempre più con continuità, ad ospitare un numero rilevante di articoli (ne ho contati almeno 250), che hanno rappresentato un punto di vista “meridionale”: piano piano, questo punto di vista non si è aggiunto al resto del giornale, ma ne è diventato parte integrante.

Poi è nata l’idea del direttore di dedicare la “pagina” della domenica ad un editoriale sul Sud. Ogni domenica, un giorno importante per un giornale. È stato un impegno che abbiamo mantenuto grazie all’aiuto di tante voci autorevoli e le parole dei protagonisti. È nato così un confronto sulle sorti del Mezzogiorno sempre al massimo livello, aperto e sincero, in grado di rifuggire dai luoghi comuni e senza andare ogni volta alla ricerca di alibi o di colpevoli.

Intorno ad un tavolino – ricordo che era anche abbastanza piccolo – di un bar di Milano è poi nata l’idea di organizzare “I giorni del Sud”.

Non il solito convegno sul Mezzogiorno. Neanche uno dei tanti dibattiti tra politici e opinionisti, né tantomeno l’ennesimo confronto sulle cause storiche del divario.

Intanto “I giorni del Sud” è stato un laboratorio in cui per mesi si è forgiato un gruppo sempre più coeso. “È stato di più che un evento riuscito, è stata la nascita di un soggetto nuovo affettivamente legato con desiderio di costruire per il Sud, fatto di realismo e visione che necessita dell’impegno di tutti”, avrà modo di commentare Vittadini dopo la riuscitissima due giorni di novembre tra Napoli e Caserta.

“I giorni del Sud” è in primo luogo un metodo, un “format” come si dice oggi, dove gli imprenditori meridionali riflettono sulle cose da fare mentre costruiscono le soluzioni. È importante che il gruppo di lavoro abbia già definitivo il programma per il 2020, individuato i paesi del Mediterraneo che saranno ospitati (Albania e Tunisia), e messo in calendario un viaggio in Marocco, per dare continuità a quanto fatto durante l’incontro di novembre.

Ma anche il Sussidiario continuerà a lavorare intensamente intorno ai temi del Sud. Ormai è per tutti noi un impegno d’onore, che assolveremo con disciplina e rigore, una ricerca comune che ci appassiona e ci unisce. Anche perché in fin dei conti è un lavoro che riusciamo a fare molto bene tutti insieme. Per questo motivo possiamo dire che oggi non è più corretto parlare ancora di una ”finestra sul Sud”, perché quanto fatto in quest’anno ci ha spinto molto più in là; il Sussidiario ormai è anche un giornale del Sud, parte di una comunità, e pur vedendone i limiti e i difetti, non possiamo non schierarci con chi crede nel futuro del Mezzogiorno, crede nei suoi giovani.

Credere: a qualcuno può sembrare stravagante, ma ad unirci è proprio questo verbo così importante.