Il messaggio di Pavese a Trump

C’è qualcosa di irriducibile in noi, qualcosa da cui partire. “Something to start from” è il titolo dell’edizione 2019 del New York Encounter, 15-17 febbraio prossimi

NEW YORK – Good morning America! Sarà davvero un mattino “buono” o no? Tanto per cominciare metà del paese sta morendo dal freddo. Sono giorni che a chi vive nel Midwest si gela il fiato in gola. A St. Cloud, Minnesota, dove abbiamo due figlie, due generi, sette nipoti ed un tot di amici, oggi la temperatura è sui -35 Fahrenheit, cioè sui -37 centigradi. Se poi ci mettiamo il wind chill, l’effetto vento, si parla di un bel 46 abbondante sottozero.

Sarà colpa di Trump? No, dico, perché a questo punto del suo mandato, a prescindere dal climate change, il nostro presidente ne ha parecchie di cose che gli si possono imputare. Di questi tempi, nel bel mezzo dello shutdown più lungo della storia del paese (35 giorni di semi-paralisi della pubblica amministrazione), i media si sono comprensibilmente accaniti e divertiti a mostrarci l’allora aspirante presidente impegnato a promettere al paese un muro a protezione della nostra linea di confine meridionale, sistematicamente ad ogni tappa della sua campagna elettorale. “E chi pagherà questo muro?” – così Trump concludeva retoricamente la sua routine – “Il Messico!” rispondeva entusiasticamente in coro la platea dei supporters.

Promesse. Quelle che fanno tutti i politici, quelle che fanno tutti gli esseri umani. Si promette e poi c’è la realtà. Così allora, tra uno sbotto di prepotenza, una reazione irata ed un tentativo di compromesso, un muro diventa un muretto, una palizzata, e se non quello magari più filo spinato di quel che già c’è, o chessò, una staccionata, una ringhierina, una riga tracciata col gesso ….  Non so se avete capito come sia andata la storia, ma essendo che il Messico non ha alcuna intenzione di pagare – ovviamente, perché mai dovrebbe farlo? – l’unica opzione che resta a Trump è di inserire la spesa del muro a bilancio, in altre parole, pagarlo con soldi americani.

Ma Trump ed i Repubblicani (un crescente numero dei quali comincia a dar segni di insofferenza rispetto al presidente) non hanno più i voti per farcela. Così quel che resta di questa sorta di litigio tra bambini è “l’esito politico” della sfida tra Trump e Nancy Pelosi, con la signora Nancy trionfalmente seduta sulla sua cadrega di Speaker of the United States House of Representatives, posizione riconquistata dopo la vittoria Democratica alla Camera nelle Midterm Elections. Lei dice “no”, e Trump deve (per ora) rimangiarsi la promessa fatta. Ma non è finita, perché tra poco più di due settimane potremmo ritrovarci nelle stesse condizioni di stallo, con oltre 600mila dipendenti pubblici di fatto abbandonati dal loro datore di lavoro.

Promesse. Ce ne è anche qualcuna mantenuta, sebbene purtroppo si tratti di quelle peggiori. Ad esempio quelle di Andrew Cuomo, governatore dello Stato di New York e sedicente cattolico, che firmando il nuovo “Reproductive Health Act” (Legge di salute riproduttiva) ha praticamente reso legale l’aborto fino al momento della nascita. Ce n’era bisogno? Per difendere l’aborto, in un certo senso, sì. Perché saltasse fuori una pronuncia “pro-life” da parte dell’attuale Corte Suprema imbottita di cattolici com’è, la legittimità dell’aborto verrebbe rimessa ai singoli Stati, ed allora meglio creare più ampi margini di manovra. Anche questa è una promessa.

Viene in mente Pavese quando si chiedeva: “Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?” Perché ogni giorno non possiamo fare a meno di sperare in un good morning? Perché in ciascuno di noi c’è qualcosa di irriducibile, e non esiste temperatura polare, muro, faziosità politica o legge di salute pubblica che possa uccidere questo “qualcosa”, questo “Something to Start From”, qualcosa da cui partire. E’ questo il tema del nostro New York Encounter 2019.

Intanto segnatevi le date, dal 15 al 17 febbraio. Ci risentiamo presto.

God Bless America

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