Pare che Priscilla Chan in Zuckerberg abbia avuto paura di ridursi a essere nient’altro che la moglie di Facebook, trascurata, del superimpegnato consorte. E che per questo abbia fatto mettere nero su bianco davanti al notaio l’impegno del marito a stare con lei (non virtualmente) almeno una notte alla settimana completa di rapporto sessuale. Negli States, che sono sempre avanti, la regolazione del sesso risulta essere una delle clausole più ricorrenti nei patti prematrimoniali. Si ha paura che lei abbia mal di testa troppo frequenti. O che lui lo voglia fare troppo strano. O che accada troppo spesso. O troppo raramente. O vattelapesca. E allora come regolarsi? Se l’incertezza mette ansia, meglio pattuire dettagliatamente tutto e prima. La paura fa questi scherzi. Frequente anche la sanzione per tradimento. Paura delle corna? Per tentare di vincerla Jessica Biel ha pattuito con Justin Timberlake 500mila dollari di risarcimento in caso di svirgolata di lui con altra. E Catherine Zeta-Jones allora, maritata a quell’ex sessuomane di Michael Douglas? Non doveva aver timore di tradimenti e di divorzio? La paura di un divorzio l’ha tenuta a bada con l’obbligo del consorte di somministrarle un antipanico da 2,8 milioni di dollari moltiplicati per il numero di anni di matrimonio. E niente paura delle corna: farebbero scattare un bonus aggiuntivo di 5 milioni.
Paura di coppia. E poi non è solo il sesso o il tradimento che viene messo nei patti pre-matrimoniali. Negli Usa, oltre alla parte più normale, che riguarda la destinazione dei beni posseduti in caso di separazione, ci mettono di tutto: dove far studiare i figli, come accudire i cani, che fare della suocera, quali turni per fare la spesa, ecc. Perché su tutto si diffonde evidentemente l’incertezza esistenziale, e si pensa che la soluzione sia in un bel contrattino.
Gli accordi pre-matrimoniali sono vigenti nei paesi anglosassoni, e anche in Germania. In Italia per ora no, ma il Governo ci sta lavorando. Alla nostra maniera: la materia è rubricata come una delle 21 deleghe all’Esecutivo contemplate nella bozza di disegno di legge sulle semplificazioni (sic!), che si sta mettendo a punto a Palazzo Chigi.
Paura d’ufficio. Risulta essere la paura il sentimento dominante fra colletti bianchi e dirigenti di medio livello. Lo rivela un rapporto Randstad sul 2018. I super-manager sembrano più soddisfatti, solamente pare per via dei super-compensi che percepiscono. Quelli sotto di loro hanno paura. Paura di non farcela a fornire l’incremento di performances e di produttività preteso da quelli di sopra. Se la paura è in cima alla classifica dei sentimenti prevalenti, a ruota si piazza la sua inevitabile compagna: la rabbia, la voglia – compressa o repressa – di violenza.
Paura nei giovani. Il 7% dei ventenni pensa che non metterà mai al mondo figli, e mi sembra già un campanello di allarme. Ma la percentuale schizza al 28% nel caso degli over 30, cioè di quelli che hanno cominciato a fare i conti sul serio con la vita. Lo ha accertato una ricerca dell’Ipsos sui giovani tra i 14 e i 35 anni commissionata dal governo. La “paura” dei giovani è di non trovare un lavoro stabile (riguarda il 33% degli under 20 ma ben il 62% degli over 30). Notare che per il 75-80% di loro la mancanza di un lavoro stabile compromette la propria realizzazione personale.
Paura di procreare. Dunque su lavoro e figli l’animo dei giovani è “paura”. Il che autorizza a pensare che non sarà facile nei prossimi anni fermare il calo delle nascite. Secondo gli ultimi dati Istat i nati nel 2018 sono stati 449mila. Rispetto a dieci anni fa, 120mila in meno; 9mila in meno anche rispetto al 2017. Negli anni dei baby boomers i nati erano sul milione e passa. In Italia il tasso di fecondità è notoriamente molto basso: 1,32 figli per donna, mentre in Francia siamo a 1,9 e in Inghilterra 1,8. Anche se il tasso di 1,32 si è mantenuto stabile rispetto allo scorso anno, il calo delle nascite è proseguito lo stesso. Il calo delle nascite protrattosi incessantemente per molti anni ha prodotto un restringimento della platea di uomini e donne in età fertile, cioè di genitori, innescando un circolo vizioso, come ha messo in luce la demografa Letizia Mencarini dell’Università Bocconi.
A prescindere? No. Sembra dunque più che ragionevole riconoscere nella paura e nell’insicurezza esistenziale la cifra distintiva del nostro tempo, l’ordito della nostra esistenza personale e collettiva. E pensare che c’è ancora chi liquida questo giudizio come frutto di esagerazione o addirittura di ossessione: ma se hanno paura anche i vip… Il problema è ineludibile, e può formularsi come segue: “Sapendo che nemmeno una polizza anti-corna megagalattica ne ha il potere, si domanda: che cosa può davvero vincere la paura?”
E’ bene che gli uomini leali e pensosi – ci sono ancora! – si facciano carico insieme di questa questione, confrontando esperienze e ipotesi di lavoro costruttivo volto al bene comune. Nelle agenzie educative, nei corpi intermedi. Nella Chiesa. In politica. I cristiani in prima fila, con la proposta – non che si asserisce aprioristicamente ma che si propone alla verifica dell’esperienza – del fatto stesso di Cristo presente e con la passione che ne nasce per la realtà. Così famiglia, genitorialità, futuro dei giovani, senso e condizioni di lavoro, non possono non trovare il massimo di attenzione, cura e sostegno. Invece, raggruppare giovani nelle associazioni o nelle parrocchie, o organizzare corsi fidanzati “a prescindere”, cioè astraendosi, sarebbe una perdita di tempo. Anzi, molto peggio. Oppure affrontare, poniamo, sempre “a prescindere”, le prossime elezioni europee di maggio (o non occuparsene affatto), sarebbe un peccato. Un vero peccato.