L’Europa sovrana di Draghi

Il discorso pronunciato a Bologna dal presidente della Bce Mario Draghi è rimbalzato fra i titoli di cronaca di un'Europa divisa e affannata

Un’Europa non sovranista ma sovrana. Un’Europa in cui nessun Paese, nessuna forza politica, nessuna istituzione, nessun mercato o potere economico può immaginare di essere sovrano – neppure all’interno dei confini di uno Stato – se non condividendo forme evolute di sovranità con tutti gli altri attori dell’Unione. Il discorso pronunciato a Bologna dal presidente della Bce Mario Draghi – insignito di una laurea honoris causa – è rimbalzato fra i titoli di cronaca di un’Europa divisa e affannata. Ma proprio per questo la fiducia manifestata del banchiere centrale italiano ha assunto un profilo forte:  molto diverso – nel suo intenzionale spirito di contraddizione – da quello incerto e pensoso che sarebbe forse naturale attendersi da un tecnocrate uscente, in un’Europa già avvolta dalla caotica campagna elettorale per il rinnovo dell’europarlamento.

È di un leader intellettualmente libero e civilmente coraggioso, affermare, nel febbraio 2019: “Si stima che nel caso di una possibile reintroduzione delle barriere commerciali in Europa, il Pil della Germania sarebbe più basso circa dell’8% e quello dell’Italia del 7%.”.  È onesto dirlo ai propri concittadini (italiani, tedeschi, europei) mentre un’agenzia di rating ripete i suoi dubbi sulla stabilità politico-finanziaria italiana. Ma è serio – e non scontato – affermarlo in modo udibile anche dai ministri delle finanze di Francia e Germania, quando hanno appena annunciato come “intesa sull’euro-budget” un avvicinamento improvvisato, confuso, al ribasso fra due Paesi che vorrebbero continuare a esercitare una tradizionale predominanza in Europa e manifestano invece una chiusura sfiduciata verso il progetto europeo. Non da ultimo, è prezioso lanciare alla Gran Bretagna – al bivio decisivo su Brexit – un segnale-appello di cui nessun altro leader europeo sembra aver più la forza o la volontà: né Angela Merkel, né Emmanuel Macron.

Perché Londra farebbe bene a restare nell’Ue? Perché Berlino e Parigi – non diversamente da Roma – non dovrebbero avere esitazoni a “ripartire dall’Europa”?  “La globalizzazione – avverte Draghi – aumenta la vulnerabilità dei singoli paesi in molte direzioni: li espone maggiormente ai movimenti finanziari internazionali, a possibili politiche commerciali aggressive da parte di altri Stati e, aumentando la concorrenza, rende più difficile il coordinamento tra paesi nello stabilire regole e standard necessari per il conseguimento al proprio interno degli obiettivi di carattere sociale”. In un mondo globalizzato “tutti i Paesi per essere sovrani devono cooperare. E ciò è ancor più necessario per i paesi appartenenti all’Unione europea. Porsi al di fuori dell’Ue può sì condurre a maggior indipendenza nelle politiche economiche, ma non necessariamente a una maggiore sovranità. Lo stesso argomento vale per l’appartenenza alla moneta unica”.

E al termine di un discorso che attende di essere riletto – e prevedibilmente lo sarà, non necessariamente subito – non sorprende che Draghi abbia scelto una lunga citazione di un altro discorso: pronunciato 38 anni fa dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. “Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale… Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole… Non è morale il moralismo dell’avventura… Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.

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