Esiste ormai una sorta di litania noiosa in questo cosiddetto Governo gialloverde: ad esempio, quella che comporta la questione “costi e benefici”. È una ritualità che ricorda banali frasi inconcludenti: non ci sono più le mezze stagioni, sempre nell’ambito delle Nazioni unite, la narrativa, e via cantando con i neologismi di politica cosiddetta moderna, che sono in realtà la negazione della politica. Questo conformismo degno di miglior causa è stato rotto clamorosamente, anche se viene poco commentato, dall’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sulla questione aperta e drammatica del Venezuela.
Vale invece la pena di inquadrarla e commentarla nei giusti termini. Nell’attuale confusione italiana può anche darsi che, per manifesta incapacità e scarsa sensibilità democratica, il Governo gialloverde stia forse valutando anche la questione venezuelana rifacendosi appunto ad alcune frasi fatte. Che dire infatti di questa astensione di giudizio, di ambiguità e di attendismo opportunista sulla tragedia che sta vivendo il Venezuela, dove si teme una guerra civile tra sofferenze di ogni tipo per le persone, per i cittadini di quel Paese?
Al momento è uscito un comunicato da Palazzo Chigi che sembra frutto di un miscuglio di irresponsabilità, cinismo e menefreghismo: “L’Italia appoggia il desiderio del popolo venezuelano di giungere nei tempi più rapidi a nuove elezioni presidenziali libere e trasparenti attraverso un confronto pacifico e democratico nel rispetto del principio di autodeterminazione”. Per comprendere il significato di una tale nota, bisognerebbe aggiungere poi qualche esternazione del “libero pensatore” Alessandro Di Battista, pentastellato che pare un “montonero all’amatriciana”. Non a caso definito da Guaidó “un ignorante”.
In pratica, lo scontro tra Nicolàs Maduro, il dittatore erede di Hugo Chávez, e Juan Guaidó che guida, come presidente dell’Assemblea nazionale, il cambiamento di un regime, chiedendo nuove elezioni presidenziali, viene ridotto a uno scontro elettorale “normale”, dopo le gravi responsabilità accertate di Maduro, i suoi richiami all’esercito e il rifiuto categorico e ribadito di accettare appunto nuove elezioni presidenziali.
Il risultato della posizione espressa dal Governo basato sul contratto e che si definisce “del cambiamento” è che l’Italia rimane l’unico Paese che ha ricevuto un plauso dall’attuale dittatore di Caracas, Maduro, un residuato del “comunismo turistico e sanguinario”, come definiva questi movimenti lo storico francese François Furet. Quindi l’Italia gialloverde resta anacronistica e, tanto per cambiare, totalmente isolata.
Al momento, per rimediare appunto a questa incredibile figuraccia, è intervenuto lo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con una durezza che pare una “pedata” al Governo di Giuseppe Conte. “Occorre chiarezza su una linea condivisa”, ha detto il Presidente durante una visita pubblica a un centro di rifugiati. Aggiungendo che “non ci può essere incertezza né esitazione”. Mattarella ha quindi spiegato le ragioni di questa necessaria chiarezza: “Da un lato c’è la volontà popolare e la richiesta di un’autentica democrazia, dall’altro c’è la violenza della forza”.
Una linea condivisa da 19 paesi nel mondo e tra questi gli alleati dell’Unione Europea, che hanno riconosciuto Guaidó nuovo presidente del Venezuela. Solo in Europa si sono già pronunciati Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna, Svezia e Austria. La posizione italiana può persino diventare un ostacolo per un’azione univoca dell’Unione Europea in caso di aiuti che pare imminente data la durezza della posizione di Maduro. E secondo alcuni calcoli, in mancanza di aiuti, ci sarebbero 300mila persone a rischio in Venezuela.
Mattarella, nel suo intervento, in perfetta controtendenza con il Governo, ha ricordato i tanti italiani che vivono in Venezuela e i tanti venezuelani che sono di origine italiana. Ma soprattutto sembra che abbia voluto rendere pubblica, come presidente della Repubblica italiana, la voce di uno Stato inteso come istituzione che rappresenta un’intera comunità nazionale e che difende i principi della democrazia. Il fatto è clamoroso, perché non ci si trova davanti a differenti opinioni, ma a differenti valutazioni di importanza internazionale tra la più alta carica dello Stato e un Governo che sembra discutere su tutto al suo interno, spesso fino al limite della rottura, per poi ritrovarsi unito nel segno del “tanto rumore per nulla”.
È quasi incredibile la tecnica di questo Governo nel “dividersi e nel ricompattarsi al suo interno”, quasi dividendosi il ruolo di maggioranza e minoranza. Si discute sulla fattibilità del cosiddetto reddito di cittadinanza, si discute su quota 100 rivendicando un superamento della legge Fornero, si litiga e ci si divide sulla necessità di infrastrutture e soprattutto sulla realizzazione della Tav, dimenticando anche i passaggi necessari di carattere nazionale (con una legge parlamentare) e internazionale per bloccare tale opera infrastrutturale. Poi c’è sempre all’ordine del giorno il tema della sicurezza e dell’immigrazione.